Tomaso Binga: l’insurrezione femminista nell’arte
In occasione della festa internazionale della donna, la Sala Santa Rita dedica a Tomaso Binga, pseudonimo di Bianca Menna, l’esposizione Zitta Tu…non parlare! Nei suoi disegni, esposti fino all’8 maggio nella Sala Santa Rita, vibrano visivamente il fermento e l’agitazione interiore delle prime eroine femministe degli anni ’70.
Bianca Pucciarelli Menna irrompe nell’arte nel 1971 ribattezzandosi con uno pseudonimo maschile di protesta ai privilegi riservati agli uomini in campo artistico, e non solo. In quasi 50 anni di carriera, Tomaso Binga, che oggi ha 83 anni e l’argento vivo addosso, si è conquistata il ruolo di protagonista nel femminismo poetico-storico degli anni di piombo, avanzando un lavoro di denuncia, ironico e dissacrante, che ha da sempre imboccato con coraggio la via dell’assurdo. Sarà per questo che per la sua ultima esposizione l’artista e poetessa salernitana ha scelto gli spazi candidi e barocchi di una chiesa sconsacrata al centro di Roma. Tra le icone religiose appese alle pareti e ciò che rimane degli antichi arredi liturgici, la protesta femminista di scardinamento dei tabù millenari che vogliono la donna sottomessa all’uomo, arriva al pubblico come un pugno nello stomaco. In un gioco grottesco e sarcastico di provocanti prevaricazioni, l’antico spazio sacro si offre al percorso tematico come testimone delle secolari convenzioni cattoliche imposte alla coscienza delle donne, svuotate della loro personalità e costrette al ruolo preimpostato di moglie devota e madre presente, nella prigione di un matrimonio in cui la parola d’ordine è “sopportare“. Nell’atrio della sala ottagonale la donna senza voce in capitolo degli anni ’60 viene interrogata dall’installazione Il confessore elettronico, un giudice implacabile vestito di nero e con un cappello da prete in testa, che la inquisisce sulla sua buona condotta “Ha commesso atti impuri? Ha pensato cose oscene? Ha santificato le feste? Frodato il fisco?“. {ads1}
Esplorando le potenzialità della cosiddetta Poesia Visiva, Binga indaga le infinite interazioni possibili tra arte e scrittura, anticipando le modalità di comunicazione non-sense e giocando con la parola, scomponendola fino ai minimi termini, desemantizzandola, occuntandola e arrivando a creare un Alfabeto Vivente (1976) di corpi femminili nudi, basato sull’assunto “il mio corpo è anche il corpo della parola“. Il viaggio alle radici del femminismo sarà arricchito da due appuntamenti nel mese di Marzo. Giovedì 13 alle 18.30, Edda Billi, presidente dell’AFFI (Associazione Federativa Femminista Internazionale), accompagnerà Tomaso Binga nella lettura performativa delle poesie sonore più note. Giovedì 20 invece il dibattito sarà liberamente ispirato al volume Arte, fotografia e femminismo negli anni Settanta, pubblicato nel 2013 da Raffaella Perna. L’ingresso alla mostra, e agli eventi correlati, è gratuito.