Indagati e impresentabili, tutti sul carro di Matteo

Non bastavano le polemiche sui ministri. Dopo la Madia, versione femminile di Giovanardi con le amicizie giuste, e Lupi, riconfermato e subito indagato, arriva l’infornata di sottosegretari e viceministri. Fra vecchie conoscenze e volti nuovi spuntano, immancabili, nomine imbarazzanti ed inquisiti.

Ad aprire la lista degli impresentabili è la sarda Francesca Barracciu, nuova sottosegretaria alla Cultura. L’ex parlamentare europea ha mancato per un soffio la presidenza della regione Sardegna solo tre mesi fa. Dopo aver vinto le primarie del centrosinistra, infatti, è stata costretta ad abbandonare la corsa dalle pressioni del suo partito, e a cedere il testimone a Francesco Pagliaru. Il motivo? Un’accusa di peculato nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” dei fondi ai gruppi regionali. Lei si è fatta da parte, sperando nel premio di consolazione. Il neogovernatore, però, non vuole inquisiti, e il Pd sardo l’ha esclusa dalla stanza dei bottoni: per lei, nemmeno un assessorato piccolo piccolo. Renzi, invece, l’ha promossa. Non può governare la Sardegna, è vero, ma perché non darle una poltrona da sottosegretario? Che volete, un’inchiesta fa curriculum. Il sottogoverno dell’ex sindaco di Firenze, però, di scheletri nell’armadio ne ha più di uno. Alle Infrastrutture e Trasporti arriva, infatti, Antonio “Tonino” Gentile. Il «dominus di Cosenza», ex Forza Italia, ora è l’uomo di Alfano in Calabria. Insieme al fratello Pino – assessore alle Infrastrutture della Regione – e alla numerosa famiglia (la figlia è vicesindaco di Cosenza), per il Nuovo Centrodestra vale almeno ventimila voti. Per questo, pare, la sua candidatura è stata fortemente promossa da Scopelliti e Schifani. Il senatore, già noto al grande pubblico per aver proposto il Cavaliere – sì, proprio lui – al Nobel per la pace, nemmeno un mese fa è stato oggetto di forti polemiche per il suo presunto coinvolgimento nell‘intimidazione ai danni del quotidiano «L’Ora della Calabria». {ads1}

La denuncia è arrivata il 19 febbraio dal direttore, Luciano Regolo. La notte precedente, al momento di andare in stampa, avrebbe ricevuto pressioni per eliminare dalle pagine del giornale un articolo scomodo per la famiglia Gentile, relativo all’inchiesta nei confronti del figlio del senatore, Andrea. Sia l’editore sia De Rose, lo stampatore, avrebbero cercato di censurare la notizia, ma Regolo aveva minacciato le dimissioni. De Rose, in particolare, si sarebbe posto come un vero e proprio mediatore tra il giornale e la famiglia Gentile, cercando di convincere l’editore a ritirare il pezzo, ricordandogli che «il cinghiale, quando viene ferito, ammazza tutti». Poi, un inaspettato e provvidenziale guasto alle rotative aveva bloccato la stampa dell’«Ora della Calabria»; la notizia, comunque, era stata pubblicata sul sito. Gentile nega ogni pressione e parla di macchina del fango, mentre il Ncd gli fa quadrato intorno. Giornalisti e direttori chiedono a Renzi l’allontanamento del sottosegretario. Dal Pd piovono critiche per la vicenda e per la gestione familista della politica cosentina, mentre si ricorrono le voci su una sua presunta vicinanza ad ambienti ‘ndranghetisti. Anche Rosy Bindi, presidente della Commissione Antimafia, si unisce a quelli che chiedono la revoca della nomina: «il Senatore Gentile non può restare al suo posto», ha dichiarato in un’intervista a Maria Latella.

In un’Italia che non riesce a scalare la classifica di Freedom House, che anche quest’anno ci ha relegato al 69° posto, i sospetti di intimidazione e censura che gravano su Gentile non possono essere ignorati, per non parlare di quelli sullo strapotere della famiglia Gentile a Cosenza. Allo stesso modo, un’indagine per peculato dovrebbe precludere anche agli enfants prodiges del Pd le poltrone dei dicasteri. Certo, dopo la «sintonia» con il pregiudicato Berlusconi, cacciare gli indagati potrebbe sembrare eccessivo, ma Renzi, se vuole dimostrare di essere nuovo e diverso, non può permettersi errori di questo tipo, né nascondersi dietro i «me l’ha indicato Alfano, non sapevo». Deve dimostrare che il merito che tanto gli piace citare nei suoi discorsi non è un mero espediente retorico. Deve dimostrare che tutto cambia, e non solo a parole. Perché, l’ha detto lui, «non ci sono più alibi». Oggi più che mai, però, sembra che sulle nomine si reggano gli equilibri di un governo nato instabile, mentre nella corsa alle poltrone tutti cercano solo di piazzare i propri, impresentabili, fedelissimi.

 

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