La banda dei quattro
Premesso che un’associazione privata, come un partito o movimento, ha diritto di escludere chi gli pare. Questo vale per qualsiasi movimento o partito: se ti presenti alle riunioni di sezione con una celtica al braccio ti stracciano la tessera del PD, giustamente aggiungerei.
Premesso che, per quanto la cosa sia discutibile, si può essere dirigisti internamente al partito e avere un’idea di Stato che sia democratico o ultrademocratico. Un partito non è uno Stato: al partito si puo’ aderire liberamente e soprattutto si può uscire liberamente, da uno Stato no.
Hanno licenziato i dipendenti, ci dicono dall’M5S, simulando internamente la revoca di mandato, istituto non del tutto estraneo alla democrazia (c’è ad esempio in alcuni stati USA) e che, peraltro, il movimento vorrebbe inserire in Costituzione.
Tuttavia, il livello di arbitrio nelle espulsioni e di tolleranza alla dissidenza (cioè quando, come e per decisione di chi si viene espulsi) caratterizzano un movimento. Nel caso dei quattro senatori espulsi le regole sembrano vaghe, la tolleranza bassa e l’arbitrio cabalistico. Si può discutere e analizzare il Movimento per come decide di organizzarsi, ma siamo nel lecito delle scelte interne di una libera associazione. Al più, così facendo, il M5S terrà lontani dai propri ranghi liberi pensatori, spiriti critici e dubbiosi di varia natura . Ma fin qui, come dire: fatti loro, scelte interne.
Gratuita e ingiusta appare però la gogna mediatica e l’equazione ‘dissidenti=venduti‘ associata all’accusa di dissentire per denaro. Il dissidente Orellana nelle spese di mandato è 300 euro sotto il fedelissimo Morra. Orellana era Project Manager in Italtel e guadagnava presumibilemente più di 2500 EURO/mese, Morra al liceo in cui insegnava presumibilmente meno. Non sarebbe giusto accusare Morra, che pare brava persona, di essere d’accordo con Grillo per convenienza, così come non è leale accusare di Orellana, che pare altrettanto onesto, di dissentire per denaro. Se Orellana si dimetterà davvero da senatore, come pare, darà uno schiaffo morale su questo punto ai suoi ex-colleghi e soprattutto a Grillo.
Esiste inoltre un piano politico, sul quale un movimento o un partito sono chiamati a rendere conto anche esternamente, visto che si propongono di intercettare consenso e chiedono che gli venga affidata la guida del paese.
Nello specifico ‘UNO vale UNO‘ è un caposaldo ‘ideologico’ del movimento e al termine di questa vicenda (ma in realtà piuttosto spesso in tutto il percorso pentastellato) sembra ampiamente disatteso per almeno due motivi:
– UNO vale UNO se la pensa come la maggioranza.
– UNO vale UNO, ma Grillo vale più di UNO. Molto di più. (il capolavoro di Orwell è in realtà “La fattoria degli animali” non “1984”)
Su questi due punti, e non su altro, gli M5S dovrebbero forse dare delle risposte a elettori, simpatizzanti e anche a qualche eletto un po’ perplesso.
Non ci dispiace Grillo quando dice “non voglio il vostro voto, ma la vostra partecipazione di cittadini attivi, se è solo per un segno sulla scheda elettorale votate qualcun altro”. Proprio per questo prima di rispondere ad una chiamata così impegnativa un cittadino interessato dovrebbe sapere se entrerà in un movimento dove può realmente ‘partecipare’. Sempre che si sia d’accordo sul fatto che la partecipazione è innanzitutto un esercizio di libertà e che assecondare gli ordini del capo non è partecipare, ma eseguire. La democrazia è faticosa, come ammette il fedele e brillante Di Battista nella sua replica accorata in difesa delle espulsioni, diventa ardua se la si vuole ‘partecipativa’ o addirittura ‘diretta’, ma è proprio su questo punto che l’M5S ha lanciato la propria sfida più significativa e innovativa. L’impalcatura traballa se si da l’impressione di risolvere le difficoltà con un processo sommario, una gogna delatoria e un colpo di cesoie.
Altrimenti siamo alle guardie rosse, col libretto in mano e il Grande Timoniere che scruta l’orizzonte per il bene di tutti.
Niente in contrario, per carità, ma ditecelo prima.
di Daniele Trovato