Cinema: 12 anni schiavo

Tratto dall’omonima autobiografia pubblicata a metà dell’Ottocento da Solomon Northup, 12 anni schiavo racconta le tribolazioni di un padre di famiglia afroamericano, nato libero poi rapito e venduto come schiavo e della sua lotta inerme verso la libertà. Il film di Steve McQueen dopo aver vinto già Bafta e Golden Globe concorre agli Oscar con nove candidature ed è il favorito per la statuetta di Miglior film.

12 anni schiavo è l’ennesimo prodotto di una ricca classe di film sullo schiavismo tra i quali spiccano molti titoli tra i migliori degli ultimi anni, Django Unchained o Lincoln per citarne alcuni. Il videoartista londinese Steve McQueen sceglie uno spunto più congeniale al suo cinema antropologico, narrare una storia vera che inizia dalla libertà e ritorna alla libertà attraverso il coraggio e la speranza di un uomo che nemmeno i soprusi più abietti sono riusciti a svilire. Solomon Northup è un musicista dello stato di New York. Rapito e venduto come schiavo e ribattezzato col nome Platt approda nella proprietà prima del benigno Ford (Benedict Cumberbatch), poi nelle terre del sadico e psicotico Epps, interpretato da un feroce e bravissimo Michael Fassbender, ormai beniamino di McQueen. {ad1}

La presenza di Fassbender, questa volta non come protagonista, non è l’unico fil rouge tracciabile nella sua filmografia. Sia in Hunger che in Shame e ora in 12 anni schiavo si nota un’insistenza verso l’uso del corpo come mezzo per aggredire lo spettatore: nei primi due il corpo era strumento di protesta e di piacere, in quest’ultmo diventa più banalmente l’oggetto su cui gli schiavisti sfogano il loro odio. Quello che però tocca direttamente la sensibilità di chi guarda non sono le scene più violente alle quali lo spettatore è già preparato, ma le sequenze nelle quali tali brutalità appaiono normali, abituali, anche a coloro che le subiscono, come nella scena in cui Solomon è appeso ad un albero per un intero giorno e mentre cerca di rimanere in vita reggendosi con le punte dei piedi, alle sue spalle dei bambini giocano e tutto procede con ordinaria indifferenza. Una delle immagini più belle impreziosita dalla fotografia curata da Sean Bobbit, collaboratore storico di McQueen, che aggiunge garbo all’eleganza formale del regista e allo stile narrativo del film. Ciò che manca sono invece le inquadrature secche e veloci, i dettagli quasi sfuocati, le scene a macchina fissa, peculiarità del regista presenti purtroppo solo nella prima mezzora.

Il film procede nel complesso con una carica emotiva impressa nello sguardo umiliato ma mai annientato del protagonista Chiwetel Ejiofor, già noto a Hollywood anche in veste di regista, e negli occhi disillusi dell’esordiente Lupita Nyong’O, una scoperta. Nel cast anche Brad Pitt, che interpreta un abolizionista canadese. Il suo personaggio è fondamentale alla storia ma ridotto ad un veloce cameo. Come già detto il film è considerato uno dei migliori dell’anno e probabilmente anche quest’anno la Notte degli Oscar non riserverà sorprese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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