Donne che comandano troppo
Madri, figlie, mogli, sorelle. Donne di mafia che hanno fatto della propria femminilità un’arma, donne d’onore abili e spietate, capaci di sostituirsi all’uomo carcerato nella gestione degli affari di famiglia.
Per molto tempo il ruolo della donna nelle organizzazioni mafiose non é stato trattato con la giusta attenzione: le donne, almeno fino all’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre che prevede la confisca dei beni ai mafiosi, ai lori familiari e affini, apparivano solo come utili prestanome. La legge e la Magistratura spesso non ritenevano le donne complici di reati di stampo mafioso e la massima pena che veniva inflitta loro era quella di favoreggiamento. Un importante caso fu quello di Francesca Citarda, moglie di Giovanni Bontade, uomo di Cosa Nostra, alla quale non vennero sequestrati i beni che alimentavano il patrimonio del marito, in quanto i giudici del Tribunale di Palermo, non ritenevano che una donna fosse capace di possedere un ruolo decisionale di autodeterminazione all’interno dell’organizzazione mafiosa. Con il tempo, gli arresti e le testimonianze, però sta emergendo il vero profilo delle donne all’interno del sistema mafioso; non solo prestanome e mogli silenziose, utili alla trasmissione di disvalori all’interno del nucleo familiare, ma vere e proprie collaboratrici spesso ai vertici dell’organizzazione, capaci di gestire gli affari in sostituzione –ma non solo- dei mariti carcerati.
Ultimo è il caso che ha portato all’arresto di Agata “Tina” Balsamo, moglie di Orazio Privitera boss della cosca dei “Cappello-Carateddi” che sembra avere il pieno controllo della Piana di Catania e dei quartieri Pigno e Librino. Tina, successivamente all’arresto del marito, detenuto al 41 bis, ha assunto la reggenza della cosca; é lei a tenere in contatto il marito con l’esterno, ad avere la piena gestione degli affari, ad imporre i pagamenti di somme a titolo estorsivo che permettono di alimentare la cassa comune, utilizzata anche per sostenere le spese legali degli associati e “finanziare” la detenzione di Privitera. Ed é sempre lei che si occupa dello sfruttamento dei terreni agricoli e del conseguimento fraudolento di erogazioni pubbliche a fondo perduto da parte dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea). Un esempio di donna di mafia “emancipata”, la “quota rosa” della criminalità organizzata, un caso che richiama l’attenzione, che non permette di abbassare la guardia ai primi arresti e ai primi successi, perché la mafia continua ad avere madri feconde.