Mai più Cie. Fortezza Italia sotto attacco

Mentre dal comune di Torino arriva un segnale istituzionale importante, c’è in tutta Italia un movimento di popolo che sta espandendo la propria energia ben oltre i confini cittadini. Un movimento fatto di domande, analisi, proposte e richieste, per liberare dalle sbarre se non gli uomini, almeno le loro storie.

Lontana dalle verità confezionate e dalle dichiarazioni di questo e quel politico in visita di rappresentanza, si diffonde l’eco di cronaca dell’ eterogeneo vissuto all’interno di queste strutture: volti, interviste ai volontari, telefonate ai reclusi, colloqui con gli avvocati, conferme e smentite.
Il fronte del <<Mai più CIE>> punta sulla comunicazione e l’incontro, promuovendo dibattiti, produzioni cartacee o cinematografiche, cercando attraverso una battaglia capillare di rendere giustizia ad una causa che non ha nazionalità, ma è più semplicemente e doverosamente umana. Così sabato scorso a Roma più di 5mila per­sone si sono dirette in corteo fin sotto le mura del CIE di Ponte Gale­ria. Domenica invece, movimenti ed associazioni si sono dati appuntamento al piazzale antistante il CARA di Mineo, altra struttura discussa, che “ospita” circa 4000 richiedenti asilo a fronte dei 1200 posti previsti.
Il fronte anti-immigrazione agita come scettro di controllo dell’Opinione prima il pericolo per l’ordine pubblico, poi l’imperativo ricattatore di mettere al primo posto gli italiani, i loro problemi, il loro lavoro, la crisi. Come se fosse possibile, sezionando la società civile in compartimenti stagni, erigere frontiere persino all’interno di una stessa nazione. Il dato disastroso è che le istituzioni che non ascoltano le ragioni contrarie alla detenzione dei migranti clandestini e richiedenti asilo che non hanno compiuto alcun reato penale, sono le stesse che permettono da decenni che simili ed altre violazioni della dignità umana vengano perpetrate ai danni dei nostri connazionali negli OPG – ne rimangono 6 attivi nella penisola, mentre la loro chiusura è continuamente oggetto di proroghe – e in tutte le strutture sovraffollate di un sistema carcerario malato ed anti-educativo. 

E’ passato del tempo da quando Maroni con la circolare 1305 dell’aprile 2011 vietò l’accesso ai giornalisti nei CIE per oltre otto mesi. Allora, come oggi, i fautori di un sistema legislativo che a conti fatti non ha portato benefici se non ai detentori del business, temevano che la circolazione delle notizie e l’appoggio esterno potessero fomentare le rivolte interne. E’ passato del tempo e non è cambiato niente, se non che il fronte di chi dice <<no>> alle cosiddette <<galere etniche>> non sembra essere più disposto a fare passi indietro. Ancora prima, nel 2007, il rapporto della Commissione per le verifiche e le strategie dei Centri coordinata da De Mistura, <<denunciava i tanti episodi di rivolte e di fughe, di suicidio, di autolesionismo, il racconto delle violenze subite, lo stato di prostrazione che provocano anche pochi giorni di detenzione, l’alto tasso di consumo e abuso di psicofarmaci indispensabili a sopportare un “regime carcerario”>>. << Ci fanno impazzire>> denunciavano a Fortress Europe, nel 2009, i reclusi della sezione maschile di Ponte Galeria, quando i dipendenti stessi dell’ente gestore, la Croce Rossa Italiana, ammisero la grande richiesta di benzodiazepine, sedativi ed ipnotici, distribuiti senza nessuna prescrizione da parte di uno psichiatra o di un servizio specializzato.
La mozione approvata ieri a Torino, impegna Sindaco e Giunta a <<chiedere ufficialmente al Governo di superare nel più breve tempo possibile il CIE di corso Brunelleschi>> . Il documento, che si rivolge a tutte le istituzioni, dal Prefetto al Parlamento Italiano, sottolinea <<che i CIE sono un’esperienza fallimentare e vanno superati ed in seguito definitivamente chiusi, sottolineando che rinchiudere immigrati senza documenti sino a 18 mesi è una inqualificabile violazione dei diritti umani oltre che uno spreco di risorse pubbliche>>. Le riforme invocate non possono prescindere da una nuova legislazione che abroghi la legge Bossi-Fini: l’impegno espresso a Torino è che <<ogni forma di limitazione della libertà personale degli stranieri deve essere conforme alla riserva di giurisdizione prevista dall’articolo 13 della Costituzione e perciò ogni competenza in materia deve spettare al solo giudice togato – non più il giudice di pace, ma il Tribunale in composizione monocratica, al pari di ogni altra restrizione delle libertà fondamentali – >> . Un dibattito scomodo dunque quello sull’esistenza e la gestione di questi istituti, perchè mette in luce le ombre di un quadro più ampio, che ha come protagonista una politica istituzionale estranea al progresso e al cambiamento, un sistema legislativo e giudiziario inetto basato sulla procrastinazione, una pessima e disonesta gestione di fondi e finanze. E la colpa, non è certo “straniera”, ma tutta italiana. Intanto, oltre i nostri confini, le mura della fortezza europea si consolidano: al modico prezzo di 9 adulti e 3 bambini uccisi il 19 gennaio nel Dodecaneso dalla Guardia Costiera greca, e 14 persone assassinate a Ceuta dalla Guardia Civile il 6 febbraio, sale a 19.507 persone il bottino di morte delle Frontiere Europee dal 1988 ad oggi. <<(…) o il Parlamento Europeo e tutti gli altri Paesi europei sono degli inqualificabili violatori dei diritti umani, o c’è qualcosa che non va nel ragionamento della mozione>> si chiedono ironicamente i 5 Stelle di Torino – contrari alla mozione approvata – sul loro sito. Questi dati sembrano una risposta esauriente.

Foto: Iskra Coronelli

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