Super G, vince Jansrud male gli azzurri
Il norvegese Kjietil Jansrud si aggiudica la medaglia d’oro in Super G, precedendo di tre decimi lo statunitense Weibrecht (bronzo a Vancouver) e l’accoppiata Miller Hudec, giunti a pari merito a 53″ dall’oro. Vittoria strameritata di un atleta che, dopo il bronzo in discesa e la medaglia di legno in combinata,
Il norvegese Kjietil Jansrud si aggiudica la medaglia d’oro in Super G, precedendo di tre decimi lo statunitense Weibrecht (bronzo a Vancouver) e l’accoppiata Miller Hudec, giunti a pari merito a 53″ dall’oro. Vittoria strameritata di un atleta che, dopo il bronzo in discesa e la medaglia di legno in combinata, lascia la sua impronta nelle discipline veloci di queste Olimpiadi insieme al nostro Cristof Innerhofer. Ed è proprio sul ventonovenne di Brunico che l’italia puntava dopo le due medaglie già messe in valigia, senza dimenticarci di Fill ed Heel che in Super G avevano già dimostrato di potersela giocare. Favoriti d’obbligo Svindal e Miller attesi al riscatto dopo le delusioni in discesa, con gli outsider Kueng e Mayer e Ligety potenzialmente da podio sui curvoni veloci e tecnici della Rosa Khutor le cui condizioni, uniti all’eccessivo caldo hanno costretto gli organizzatori ad anticipare di un’ora la partenza. Dopo le scaramucce dei primi pettorali, il primo tempo degno di nota è quello del nostro Peter Fill, partito col numero 8, che dopo una ottima prima parte tecnica pasticcia un po’ nella parte centrale chiudendo con un vantaggio esiguo che non lo soddisfa. Tocca subito dopo a Ligety a nozze nella parte alta, ma un errore di linea lo mette fuori gara così come Defago che si fa sbalzare da un dosso salutando mestamente le sue ultime Olimpiadi.
La gara entra nel vivo col nostro Heel che commette gli stessi errori della discesa tendendo a strafare e non assecondando questo tipo di neve, ma adesso tutti concentrati sulla prova di Innerhofer: nemmeno il tempo di impostare la prima curva veloce e il nostro è a terra, scivola via sulla neve dopo 10 secondi di gara, che delusione. C’è rabbia e incredulità, il bastoncino scagliato violentemente contro la neve dopo due immense medaglie, peccato! Col numero tredici è l’ora di Bode che parte al limite con le sue solite traiettorie da funambolo unite ad una voglia rabbiosa di arrivare in fondo senza errori, e l’impresa riesce nonostante uno svarione nel finale: Miller in testa con Fill secondo a 18″ centesimi fatali per il podio finale. Franz e Striedinger ci tolgono le residue speranze di podio piazzandosi a un soffio da Miller, ma ora tocca ai big e al numero 16 Svindal, leone ferito di Sochi: parte malissimo in alto pagando mezzo secondo al primo intermedio, il resto è una gran rimonta che non basta per balzare al comando, e i 9″ di ritardo lo relegano in quarta posizione segnando il fallimento delle sue Olimpiadi. Matthias Mayer dimostra tutto il suo straordinario talento fino a metà gara, nonostante un’incertezza in partenza col bastoncino, ma esce dopo un salto con gli sci fuori direzione e l’inevitabile porta saltata. Sreitberger, Kueng e Theaux non riescono in nessun tratto di gara ad impensierire il tempo di Bode che incomincia a crederci, ma al cancelletto di partenza col numero 21 c’è Jansrud pericolo pubblico numero uno su questo tipo di tracciato.
Il norvegese, operato al crociato l’anno scorso e incredibilmente competitivo già quest’anno in coppa del mondo, parte bene tenendo il passo di Miller nei primi intermedi dimostrando di amare questo tipo di neve, nel finale non sbaglia indovinando le linee perfette portando al traguardo un’ottima velocità e ipotecando l’oro con 53″ di vantaggio. Gara finita? Nemmeno per sogno, col numero 22 tocca al canadese Hudec che riesce a trovare un giusto compromesso lasciando correre lo sci da un lato e dosando al meglio le traiettorie dall’altro, e all’arrivo il cronometro è dalla sua parte: stesso tempo di Bode e medaglia garantita. L’ultima speranza azzurra è quella del numero 27 Dominik Paris, che fa quel che può nella parte alta limitando i danni, per poi perdersi nel finale in cui non rischia quasi nulla chiudendo a 1’70 dal norvegese, ma la sorpresa più grande deve ancora materializzarsi. Tocca al numero 29 Andy Weibrecht, statunitense classe ’86, e già bronzo a Vancouver quattro anni fa: parte come un razzo disegnando delle linee pazzesche e fino all’ultimo intermedio fa tremare Jansrud che tira un sospiro di sollievo quando il cronometro indica 1’18″44 che regala un argento incredibile ad un atleta che dopo Vancouver era praticamente a digiuno di risultati in Super G, confermando una volta di più che il fascino dei giochi Olimpici è legato a favole come questa. Le lacrime di Miller, alla sua sesta medaglia olimpica, che dedica questo bronzo al fratello scomparso lo scorso anno, la gioia composta di Jansrud e la delusione di Inner chiudono la prima parte di questi giochi in cui gli azzurri tornano a casa con due medaglie e tante buone sensazioni, con la speranza che nelle discipline tecniche si riesca a fare altrettanto bene.