Il tormento e l’estasi di Steve Jobs al Vascello
Si può quasi riassumere in una sorta di “one man show”, la prova di Fulvio Falzarano, in scena al Teatro Vascello con Il tormento e l’estasi di Steve Jobs fino al 9 febbraio. L’attore, infatti, è chiamato a far tutto. Racconta, commenta, critica. Detta magistralmente i tempi di un monologo scarno e diritto che Jobs lo rasenta soltanto, lo prende a pretesto.
Il testo di Mike Daisey, che dovrebbe rappresentare sotto una luce impietosa il genio controverso di Cupertino, non aggiunge molto a quanto già conosciuto: folle, visionario ma insieme rigido e privo di troppi scrupoli.
Il racconto si muove senza sorprese, nell’intento di criticare il trionfo del consumismo che rottama prodotti di successo e perfettamente funzionanti solo perché “già visti” e un sistema vergognoso di sfruttamento della manodopera di cui già sappiamo (senza che la cosa ci smuova più di tanto).
Conoscendo il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, sorprende un allestimento così poco curato dal punto di vista tecnico: luci che non disegnano lo spazio né regalano nulla in più al ritmo degli eventi, così come i filmati presi da internet e scaraventati in scena senza alcun lavoro di adattamento – sovrimpressioni poco leggibili, formati incoerenti e la presenza a tratti di uno strano “blu windows” che appare davvero fuori luogo.
Lasciato solo da una regia inesistente – Giampiero Solari probabilmente era impegnato altrove – l’interprete avrebbe meritato di più.
Giocando con la voce e con una mimica notevoli, infatti, accompagna il pubblico non tanto verso quel rivoluzionario disvelamento che il testo pretenderebbe di regalare, quanto al piacere di assistere a una grande prova d’attore. Il pubblico apprezza e ringrazia, richiamando Falzarano tra gli applausi più e più volte. Peccato per questa scena così vuota. Una poltrona abbandonata in una stanza dove non si spolvera da un po’. E che, non dubitiamo, Falzarano in persona si caricherà in spalla e porterà via, alla fine dell’ultima replica.