Libere di scegliere
«Porque yo decido». Tre semplici parole per spiegare la manifestazione che sabato ha colorato di lilla le strade di Madrid. Le donne (e gli uomini) che sono scese in piazza non l’hanno fatto – solo – per l’aborto ma per un diritto sacrosanto che potrebbe scomparire: la libertà di scegliere.
Dimenticate le conquiste sociali dell’epoca di Zapatero: in Spagna è l’ora della reconquista. Fino a poco tempo fa era il Paradiso dei diritti, ora l’ex «cattolicissima» rischia di fare un brusco salto indietro nel tempo. Al 1985, per la precisione. La proposta del ministro della Giustizia Gallardón, infatti, annulla l’attuale legislazione sull’aborto (varata nel 2010 dal governo socialista) ripristinando la prima legge post franchista in materia di interruzione volontaria di gravidanza. La proposta votata – non senza un certo dissenso, pare – dal Consiglio dei ministri del conservatore Rajoy, però, non si limita a rispolverare una legge di quasi trenta anni fa, la rende ancor più restrittiva. Finora, la legge spagnola permetteva di interrompere liberamente la gravidanza fino alla quattordicesima settimana; se la nuova normativa dovesse passare, l’aborto sarà invece consentito solo in caso di stupro denunciato o conclamato rischio fisico o psicologico della madre. Quest’ultimo dovrà essere comprovato da due distinti medici, operanti in strutture diverse da quelle in cui viene eseguito l’intervento. La proposta di legge non prevede, se non in caso di complicazioni per il feto, la possibilità di abortire in caso di malformazioni che pure era contemplata nella legislazione del 1985.
Mentre la Chiesa e le associazioni per il diritto alla vita plaudono, le donne spagnole tremano. E protestano. Sabato, in migliaia sono salite sui «treni della libertà» da tutte le regioni della Spagna e sono scese in piazza per ribadire il loro diritto all’autodeterminazione. Al loro fianco, molte città d’Europa e del mondo. «L’utero è mio e lo gestisco io», gridava trent’anni fa quella generazione femminista che si è battuta per avere la possibilità di decidere, per rifiutare il ruolo di «macchine per la riproduzione». Oggi, come allora, le donne tornano a gridare in piazza «¡Yo decido!». Del mio corpo, della mia gravidanza, della mia vita. Tornano a battersi contro una legge liberticida che ha come unico risultato quello di spingere molte di loro sotto i ferri clandestini, mettendone a rischio anche la vita. È buffo che, secondo il ministro Gallardón, la legge sia invece necessaria per tutelare la donna. In ballo non c’è un presunto diritto all’aborto bensì la possibilità di scegliere liberamente. Un diritto che dovrebbe essere acquisito da anni ma che il governo dei Popolari vuole stracciare, garantendo invece ai medici la libertà di scegliere se praticare o meno gli interventi abortivi. La nuova normativa, infatti, introduce l’obiezione di coscienza e potrebbe, di fatto, rendere impossibile per una donna interrompere la gravidanza anche nei limitatissimi casi previsti dalla legge.
L’Italia conosce bene il problema dell’obiezione di coscienza. Secondo i dati del ministero della Salute, i ginecologi che fanno obiezione di coscienza sono oltre il 70%, distribuiti in maniera disomogenea nel territorio nazionale. Sabato molte città si sono mobilitate non solo in segno di solidarietà con la protesta spagnola, ma anche per denunciare una situazione che sta diventando insostenibile. Nonostante la legge 194 del 1978 garantisca formalmente la possibilità di interrompere la gravidanza entro il terzo mese, sempre più spesso il personale ospedaliero si rifiuta di effettuare gli interventi. L’introduzione della RU486, la pillola abortiva, è stata duramente contestata e i consultori sono stati depotenziati. La situazione è drammatica soprattutto al sud, in cui l’obiezione di coscienza raggiunge punte vicine al 90%. A volte, è piuttosto un’obiezione di convenienza: si sa, chi pratica aborti lavora di più, fa meno carriera e non può dirottare le pazienti in cliniche private in cui l’intervento è pagato profumatamente. In alcune strutture, l’obiezione è talmente generalizzata che la possibilità di ricorrere all’IVG è nulla. Di fatto, in alcune zone l’aborto legale è stato praticamente cancellato. Così, si torna alla clandestinità delle “mammane“, relitti di un tempo che credevamo dimenticato e che invece è vergognosamente attuale, un’infamia per un paese laico e democratico. Chi può permettersi costosi interventi in cliniche di lusso o viaggi della speranza può ancora decidere liberamente del proprio corpo. Le donne senza mezzi, le più inesperte, fragili e giovani, invece, hanno spesso come unica scelta quella di affidare la propria salute e la propria vita nelle mani sbagliate.