Tutta colpa di Freud: tutti dallo strizzacervelli
Tre figlie un pò svitate e un papà tuttofare, professione psicanalista, che si sforza di metterle sulla strada giusta, ma anche lui ha i suoi inciampi sentimentali. Non stiamo parlando di una terapia di gruppo, ma della nuova commedia di Paolo Genovese, in uscita oggi in tutte le sale italiane: Tutta colpa di Freud.
“Sigmund, dov’è che ho sbagliato dimmelo?”, si ripete Francesco Taramelli (Marco Giallini) davanti al quadro del suo mentore, al quale si ispira anche nell’aspetto. Barba lunga e scura, occhiali grandi da intellettuale e una camminata un pò goffa.
Un padre convinto che “La malattia più diffusa al mondo è l’amore”, in realtà non fa altro che infonderne alle sue tre figlie, che ha cresciuto e sempre protetto, da bravo “mammo”. Un uomo che ha messo da parte le esperienze extra coniugali e la voglia di rifarsi una vita dopo l’abbandono della moglie per dedicarsi con tutto se stesso a quello che di più caro ha al mondo: Sara, Marta e Emma.
Marta (Vittoria Puccini) è una libraia sognatrice, delusa da un uomo sposato e che ben presto si invaghisce di un ladro di libri sordo muto (Vinicio Marchioni). Sara (Anna Foglietta) è una lesbica che, dopo svariate delusioni ricevute da partner del suo stesso sesso, vuole diventare etero. Emma (Laura Adriani), giovane e brillante studentessa, innamorata di un architetto Alessandro (Gassmann), di anni 50 e sposato con Claudia (Gerini). Per le sue tre figlie il dottor Taramelli sfida il deontologicamente corretto, accettando di psicanalizzarle sul suo lettino di analista. Ascolterà i loro problemi di cuore e cercherà di fornire dei preziosi suggerimenti. Uno tra tutti, di stare alla larga da quattro categorie di uomini: 1) gli insoddisfatti (della vita, della propria donna, dei figli), 2) i Peter Pan, 3) i “vorrei ma non posso” (eternamente in procinto di…) e 4) i mammoni. {ads1}
Una famiglia perfetta, quasi tutta al femminile, però assediata dall’esterno da uno stuolo di maschi immaturi, a partire dall'”architetto” (Gassmann), cinquantenne combattuto tra una moglie a fin di corsa e l’amante diciottenne. È una commedia che parla di analisi, di legami familiari, di amore, di diversità: dall’omosessualità agli handicap fino alla differenza di età. Tutti i temi vengono affrontati in modo brillante ma non superficiale e in modo particolare l’omosessualità è trattata ironicamente al contrario: come una diversità che vuole diventare normalità, ma al contempo come accettazione da parte di un padre (forse) troppo innamorato delle sue figlie per ostacolarle, anche in fatto di gusti sessuali.
Un film dal ritmo vivace e dalla sceneggiatura originale, girato tra Roma e New York: la prima è la città del regista, che cerca di raccontarla nella sua autenticità, a partire da alcuni scorci di cento storico (da Campo Dé fiori a Piazza Navona, da Largo Argentina fino a Via dei Coronari), che offrono allo spettatore luci e atmosfere incredibili. La “grande mela” compare fin dalla prima scena in tutta la sua maestosità e irriverenza di metropoli dove si può trovare e vivere qualsiasi cosa; anche l’amore. La qualità produttiva degli ambienti e delle musiche (la colonna sonora è del romano Daniele Silvestri) rendono atto dei 6 milioni spesi da Medusa film, in connubio con Lotus. Genovese si augura di replicare il successo ottenuto con la saga Immaturi, da lui diretta nel 2011 e nel 2012. Lo stesso regista ha precedentemente scritto il libro dal titolo omonimo, edito Mondadori, a cui la pellicola si è ispirata, quasi avesse pensato già scrivendo quelle pagine, a un ruolo adatto a ciascun personaggio.
Una commedia per tutti, ma che piacerà soprattutto a quei padri amorevoli che vorrebbero sempre sentirsi utili per le proprie figlie e, per queste ultime, giovani o adulte, eternamente innamorate di loro papà, al punto da desiderare più di ogni cosa al mondo un suo abbraccio.