Economia 2014: disoccupazione record e lo spread che non basta al Governo
Durante i suoi otto mesi di vita il Governo Letta si è trovato stato costantemente sotto assedio, tuttavia oggi con la maggioranza ristretta a disposizione e la concorrenza “interna” di Renzi, il cerchio sembra stringersi sempre di più. Equilibrismi politici a parte il futuro del Governo si giocherà sulle performance economiche dell’Italia nell’arco del 2014 (lo stesso Renzi non prevede elezioni prima del 2015), cioè sulle pressioni esterne derivanti dall’aggravarsi o meno della crisi sociale.
Se il Presidente del Consiglio ha abbondantemente sbandierato nelle ultime settimane il calo dello spread intorno a quota 200, dopo gli interventi in materia di Monti e soprattutto di Draghi, appare ormai chiaro che la riduzione del differenziale non ha effetti immediati sull’economia tali da frenare l’emorragia di posti di lavoro e il processo di deindustrializzazione in corso. La vera partita si gioca sul campo dell’attesa ripresa, le cui previsioni apparentemente positive sono state ampiamente capitalizzate a dicembre dalla propaganda governativa: +1,1% del PIL nel 2014.
Prima della recessione in corso nel quinquennio 2000-2005 i tassi di crescita erano stati mediamente intorno all’1% e la situazione italiana veniva già descritta come “stagnazione”, “declino” o crescita zero. Dopo la crisi, in seguito ad un drastico calo delle aspettative, quello stesso dato viene stranamente descritto come un trionfo perché, testuale, ‘l’Italia abbandona finalmente il segno meno ’. Letta e Saccomanni dimenticano che il segno ‘meno’ era già stato abbandonato nel 2011 (+0,4%) senza che questo lieve rialzo avesse messo fine alla crisi e al trend di distruzione del tessuto produttivo. Gli stessi Saccomanni e letta hanno ammesso che si tratterà di una ‘jobless recovery’, ripresa senza posti di lavoro, per i quali bisognerà attendere il 2015. Ammesso e non concesso che l’economia del paese e le forze sociali in fermento possano attendere un intero anno di ulteriore aumento della disoccupazione, bisogna vedere quale sia la reale attendibilità delle stime ‘positive’ sul PIL 2014: se ci focalizziamo sui recenti precedenti storici la risposta è nessuna. Come fa notare tra gli altri Brancaccio, le previsioni del Governo per il 2011 erano per un +1,4 mentre il risultato effettivo fu il già citato +0,4, nel 2012 venne stimato un +1,3% a fronte di un -2,4% reale e, infine, il 2013 appena concluso con una contrazione del PIL dell’1,8% vedeva appena un anno fa ottimistiche previsioni per un +0,4%. Andando più indietro con gli anni e coi governi le previsioni erano state sbagliate al ribasso nel 2009, -5,8% contro un -2% delle attese, e perfino al rialzo quando il rimbalzo del 2010 era stato sottostimato di quasi un punto.
Basarsi su queste previsioni non soltanto per impostare una politica di bilancio tuttora rigidissima (basta poco a sforare il 3% di deficit se il PIL cresce la metà delle attese) ma anche per riguadagnare credibilità davanti a un paese allo stremo, è dunque un’operazione del tutto inconsistente alla luce di quanto visto negli ultimi anni. Ben altro ci raccontano i dati reali diffusi, quelli raccolti ex-post dall’ISTAT, che riguardano la disoccupazione in crescita al 12,7% e la disoccupazione giovanile al record 41,6%, cui va sempre aggiunto l’enorme calderone , mai stimato con esattezza, che comprende lavoratori in CIG, mobilità, scoraggiati e sottoccupati, molti dei quali sono poveri pur avendo un lavoro. Nell’attuale politica rigorista e in quel +1,1% messianicamente atteso in Italia per il 2014, ammesso che si realizzi mai, non c’è alcuna risposta per tutti loro.