LA VALUTAZIONE DELLE QUALITA’ PROFESSIONALI
La discrezionalità del datore di lavoro nel valutare le qualità professionali del dipendente non può spingersi sino al punto di negare un incentivo economico senza un’adeguata motivazione.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 28311/2013 afferma che l’autonomia dell’imprenditore, espressione della libertà di iniziativa economica privata, trova un suo limite e nel criterio di buona fede (articolo 1375 del Codice Civile).
L’istituto bancario ricorrente, per rifiutare ad un impiegato un premio previsto dal contratto, aveva fatto ricorso a una “formula di stile estensibile a una serie indifferenziata di situazioni analoghe”.
Circa il rifiuto all’incentivo inoltre non vi era un parere concorde: vi era una nota negativa della Commissione centrale non in linea con un giudizio favorevole del responsabile dell’unità operativa. L’incoerenza comporta per il lavoratore oltre 18 mila euro pari al beneficio negato per gli anni in questione, che va incidere anche sul trattamento di fine rapporto, calcolo anche questo contestato dalla Banca.
Infatti, secondo l’istituto di credito i giudici non avrebbero potuto interferire nel potere del datore di “pesare” il valore dei dipendenti e tanto meno, in caso di contestazione di questi ultimi, addossare all’imprenditore l’onere di dimostrare le cause ostative al bonus quando, al contrario, sarebbe spettato al dipendente provare di essere stato danneggiato da una valutazione erronea. Sempre secondo il ricorrente avevano errato i giudici di merito a non considerare le testimonianze a supporto del ‘rifiuto”.
L’istituto bancario tenta anche di far passare la teoria delle due vie di valutazione: una basata sulle note di qualifica, stilate dal superiore in merito al ruolo svolto dall’impiegato, un’altra fondata sulle potenzialità e dunque su quanto il lavoratore poteva fare di più. E proprio su questa sarebbe scivolato il dipendente, finito nel mirino della Commissione per non aver sviluppato abbastanza le sue capacità potenziali, giustificazioni che la Suprema corte respinge tutte al mittente al quale contesta una motivazione inadeguata e contraddittoria.
Allo stesso modo viene respinta anche la richiesta di limitare la conseguenza della supposta lacuna datoriale al risarcimento del danno conseguente all’inadempimento, senza riconoscere al dipendente il riconoscimento integrale dell’incentivo. Quanto chiesto dalla ricorrente – spiegano i giudici – può andare bene nelle contestazioni per l’avanzamento di carriera.
La cosiddetta perdita di chance comporta, infatti, la violazione di un interesse legittimo di incerta qualificazione. Diverso è invece il caso dell’incentivo economico che, in quanto diritto soggettivo perfetto, obbliga a un risarcimento pari alla perdita sopportata.