Renzi: piano del lavoro a 360 gradi

«Ci confrontiamo con tutti ma noi siamo il Pd, non un sindacato. Partiamo dalle nostre idee». Questa la risposta del segretario del Pd, Matteo Renzi, quando gli vengono chiesti dei chiarimenti a proposito della sfida sulla riforma del mercato e del lavoro. E ancora: «Abbandoniamo gli slogan e facciamo un piano del lavoro a 360 gradi, inserendolo nel patto di coalizione».

La riforma della legge elettorale è sicuramente un tema cruciale, ma anche la questione del lavoro e il relativo articolo 18 non vanno sottovalutati. Ieri, infatti, si è svolta a Roma, precisamente a largo del Nazareno, la seconda riunione della segreteria democratica, con a capo, appunto, Matteo Renzi. I lavori, secondo quella che è la nuova politica del segretario, impegnato tra il suo nuovo ruolo e quello di sindaco di Firenze, sono iniziati alle 7.30. La riunione è durata ben due ore e, tra le questioni più insidiose, fa capolino il piano dedicato al settore lavoro, tant’è vero che si parla di “nodo occupazionale“. L’idea di Renzi sarebbe quella di sciogliere tale nodo, con la proposta del “job act“. Lo stesso leader Pd ha definito l’art. 18 come «un totem ideologico attorno al quale danzano i soliti addetti ai lavori che non si preoccupano dei problemi ma fanno solo discussioni ideologiche». La proposta è quella di introdurre un tipo di contratto a tempo indeterminato per i neoassunti, ma senza la modalità di tutela imposta secondo l’art. 18 e, quindi, senza reintegro.
Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, ha commentato al riguardo: «Una buona proposta che va nella giusta direzione». Ma buona non è sinonimo di sufficiente. Lo stesso Renzi, del resto, ha tenuto a precisare che non si tratta di una riforma prima necessità.

 

La verità è che, a quanto pare, in Italia, è difficile trovare un lavoro ma, una volta assunti, non te ne separi più, a meno che non sia tu a volerlo. Ritardi, liti con colleghi, mancanza di entusiasmo o, addirittura, crisi della società stessa: niente da fare, il posto di lavoro non si tocca e, così, i giudici del Lavoro hanno iniziato ad annullare sistematicamente i licenziamenti.
L’obiettivo finale è sempre lo stesso: creare lavoro, nel modo più efficiente, ma anche concreto, possibile. Per fare ciò, servono norme che semplifichino e le assunzioni e facilitino le indennità. Ecco, allora, che la revisione dell’articolo 18 non appare più una priorità. Debora Serracchiani, presidente della regione Friuli Venezia Giulia, ha insinuato che dovrebbe essere realizzata una riforma più ampia, che, pertanto, non è riducibile ad un singolo articolo.
A lavorare al job act sono in tanti, primo tra tutti, il deputato e spin doctor economico Yoram Gutgeld, che ha affermato: «Non vogliamo togliere nulla, ma solo aggiungere. Non aboliamo l’articolo 18, non aboliamo i contratti a progetto e non aboliamo i contratti a tempo indeterminto. Anzi, quello che si vuole è guardare alla realtà: spesso c’è un uso improprio dei contratti a progetto. E il contratto a tempo indeterminato è diventato un’araba fenice”. Oltre a lui, la responsabile del Lavoro Marianna Madia, il responsabile economico Filippo Taddei, il responsabile Welfare Davide Faraone, con la supervisione politica di Maria Elena Boschi.
I sindacati assicurano ampia disponibilità per ogni tipo di collaborazione e confronto.
Vero è che, quando Berlusconi provò a proporre una riforma del lavoro e dello stesso articolo, si ritrovò tre milioni di lavoratori in piazza, ma anche alla coppia Monti-Fornero non andò meglio. Non resta che verificare se l’iniziativa renziana avrà successo o dovrà essere limitata in seguito alle reazioni di politici e popolo italiano. Per il momento Letta ha dichiarato: «Tutto ciò che porta più occupazione in questo momento è il benvenuto”.

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