Questo matrimonio non s’ha da fare

Cosa hanno in comune Australia, Croazia e India? Apparentemente poco, o nulla. Nelle utlime due settimane, però, tutti questi paesi hanno rimesso indietro le lancette dell’orologio e inaugurato un processo involutivo in tema di diritti omosessuali.

Ad aprire il dicembre nero della comunità LGBTQI è stata la Croazia, dove già dal 2003 «le unioni tra persone dello stesso sesso» che convivono da più di 3 anni «sono riconosciute come coabitazioni non registrate» e godono di alcuni diritti legati a eredità e reciproco sostegno finanziario. Il 1 dicembre, con la vittoria del referendum promosso dalle associazioni ultracattoliche che fanno capo al gruppo “Nel nome della famiglia“, Zagabria ha definito costituzionalmente il matrimonio come unione fra uomo e donna, chiudendo la strada al matrimonio egualitario. Nonostante la bassa affluenza alle urne, appena il 37,86% degli aventi diritto, il 65% dei cittadini ha votato si al referendum che, secondo i critici, sarebbe soprattutto un attacco politico al governo socialdemocratico. Governo che, nonostante l’esito referendario, è deciso a impegnarsi per il futuro riconoscimento delle “life partnership” tra gay e lesbiche – la concessione di quasi tutti i diritti di cui oggi godono le coppie eterosessuali anche agli omosessuali, ad esclusione della possibilità di adottare bambini. Una legge speciale per delle unioni, quindi, “speciali” e, in fin dei conti “diverse”. “Quasi, ad esclusione di”. Nelle parole dei promotori, le unioni civili dovrebbero garantire l’uguaglianza, ma anche il loro linguaggio tradisce una nuova discriminazione e trasforma gli omosessuali in cittadini di serie B. L’uguaglianza, quella vera, non conosce approssimazioni.

Se la Croazia stabilisce «che un amore è più valido di un altro», in Australia è durata poco la luna di miele per la comunità omosessuale. L’Alta Corte ha annullato legge dello stato di Canberra che permetteva le unioni gay. A presentare l’istanza, il governo del conservatore Tony Abbott, che della battaglia contro i matrimoni gay aveva fatto una bandiera. L’11 dicembre la Corte ha stabilito all’unanimità che la legge di ACT (Territorio della Capitale Australiana) – approvata il 22 ottobre – non potrebbe funzionare in concomitanza con il Marriage Act federale, che è stato modificato nel 2004 per definire il matrimonio come quello esclusivamente tra un uomo e una donna. Solo il governo federale può modificarlo e ha già fatto capire chiaramente che non ha intenzione di andare in questa direzione. Va peggio solo all’India che, proprio lo stesso giorno in cui l’Australia annulla le unioni già celebrate, è rispedita indietro al 1860. La Corte Suprema ha reintrodotto reato di omosessualità, abolito dall’Alta Corte di New Delhi il 2 luglio 2009. Con una decisione storica, era stato depenalizzato l’articolo 377, risalente all’epoca del colonialismo, sulla base del quale “chiunque abbia volontariamente rapporti sessuali contro la natura con un uomo, una donna o un animale” rischiava fino a 10 anni di carcere. Dopo quattro anni di ricorsi, le associazioni religiose e i partiti sono riusciti a far cancellare la legge. Secondo la Corte, solo il Parlamento ha il potere di legiferare in materia: finché non lo farà, gli omosessuali in India saranno dei criminali.

La lotta per il riconoscimento dell’uguaglianza subisce una drammatica battuta d’arresto; in alcuni casi si torna indietro, troppo indietro. Spesso sono decisioni della magistratura, chiamata ad intervenire di fronte ad una classe politica incapace di non strumentalizzare una materia tanto delicata. Anche l’Italia, che sul tema non si muove dal lontano 1865, non sembra voler fare passi avanti, nonostante alcune sentenze abbiano aperto alcuni spiragli d’uguaglianza. La questione omosessuale, dopo un breve balzo agli onori della cronaca in campagna elettorale, è scomparsa dall’agenda politica. E anche l’omofobica legge sull’omofobia, capolavoro delle larghe intese, sta impolverando nel dimenticatoio. 

 di Costanza Giannelli

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