Ruotalibera e Teatro dei Dis-Occupati raccontano Bambina Mia
Bambina Mia, in scena al Teatro Centrale Preneste, è il frutto della fortunata collaborazione tra la compagnia Ruotalibera, attiva da più di trent’anni, e il Teatro dei Disoccupati. Incontrare un gruppo di lavoro così eterogeneo e al tempo stesso armonico è una grande occasione, soprattutto per lo spettatore che arriva, per così dire, a giochi fatti.
È l’occasione di scoprire quanto impegno si celi dietro una performance teatrale. Queste sono le voci dei protagonisti, raccolte in un formato inusuale che, partendo da quello dell’intervista, diviene un piccolo documentario di parole.
Tiziana Lucattini (drammaturgia e regia): “Lo spettacolo nasce dal piacere e dalla necessità di lavorare per una fascia d’età molto piccola, quella dai 2 anni e mezzo in su. Insieme con una psicologa abbiamo discusso su quali fossero i temi rilevanti per questa fascia d’età, e parlandone è venuto fuori il discorso dell’esplorazione, delle prime avventure di cui un bimbo di 2 anni è partecipe, anche solo andare a fare una passeggiata in giardino per esempio. Collegato con questo tema anche quello della separazione, in particolare dai genitori. Di qui il salto verso Peter Pan è stato immediato, e da Peter Pan quello verso il volo, paradigma dell’esplorazione e della separazione insieme. Rispetto alla favola però abbiamo fatto un passo avanti: quando nel testo originale Peter Pan torna a casa, trova la finestra sbarrata e la madre intenta ad accudire un altro bebè. Quindi il bambino, che ha vissuto un grosso conflitto tra il desiderio di volare e quello di ritornare, sembra aver meritato la punizione dell’autore: come a dire che l’allontanamento non è reversibile, forse l’aspetto più triste della storia. Nel nostro spettacolo invece, Mia può volare e trovare comunque una finestra aperta; non solo: è la madre stessa a confessarle un’esperienza simile, permettendo la separazione”.
Massimo Cusato (musiche): “Di Peter Pan condividiamo in parte l’ambientazione, sia quella scenografica, che ci rimanda a Londra, sia ancor più quella musicale: alcune brani vengono dalla colonna sonora del film Cook e sono originali di John Williams. Per il resto mi sono divertito a scegliere compositori, come Philip Glass, Stephan Micus e Bela Bartok che i bambini riescono ad apprezzare nonostante non siano spudoratamente “infantili”. Da un certo punto di vista anche la scelta musicale poteva essere un rischio, quello di non compiacere il pubblico: avevamo però l’esigenza di proporre qualcosa di onesto, di far diventare la musica un elemento della drammaturgia. Tutto sta nel capire se il pubblico riesce ad entrare nella nostra magia, cercando di portare i bambini altrove, lontano da quello che vedono e sentono quotidianamente. E la risposta non manca”.
Martin Beeretz (disegno luci): “Spesso mi è capitato di seguire uno spettacolo già strutturato, senza potermi sentire veramente parte di quello che stavo facendo, senza conoscere a fondo quello che stavo facendo. In questo caso il mio lavoro invece ha determinato la drammaturgia, ha concorso a creare Bambina Mia. Con la luce riesco a seguire ma anche a definire un filo rosso che abbiamo costruito insieme, senza che l’estetica dello spettacolo si spezzi o si interrompa. La luce diventa un altro personaggio e questo si percepisce sia in scena che tra il pubblico.”
Monica Crotti/Mia (attrice): “Abbiamo cominciato a lavorare su improvvisazioni, unendo in modo sincronico le musiche, la drammaturgia e le luci. Avevamo alcune indicazioni di massima, ma non conoscevamo con precisione la nostra direzione. Per il mio personaggio è stato utile osservare i bambini che ho intorno, in primis mio figlio e poi anche gli allievi della scuola di teatro. Mia comunque è molto simile alla bambina che mi ricordo di essere stata da piccola, un po’ maschiaccio, un po’ bambina di campagna. Con Mia ho riscoperto di poter essere quello che voglio, ho avuto la possibilità di dimenticarmi di cosa è educato e di cosa non lo è, di quello che sarà e di quello che non sarà. Ho svestito il ruolo quotidiano e talvolta noioso di madre, della figura che dice cosa fare e cosa non fare, per tornare a stare, anche se per poco, dall’altra parte.”
Simona Parravicini/Fata (attrice): “Di questo spettacolo mi è piaciuto che ogni piccolo cambiamento ha influito su tutte le componenti teatrali, al punto da arrivare a scrivere una drammaturgia comune. Le musiche ad esempio, ti collocano subito in un clima che ti rende più facile comprendere chi sei e dove sei. Ognuno ha dato un suo contributo, incastrandosi con il lavoro degli altri. Per la mia fata è stato di aiuto un libro di Tiziana con delle immagini di fate stilizzate, minute ed eteree. Vorrei che il valore del nostro teatro, del teatro per ragazzi in genere, fosse considerato con maggiore dignità. Credo che ci sia modo e modo di fare teatro per ragazzi: c’è chi lo fa perché non gli riesce di fare quello per adulti e c’è chi, come questa compagnia,sceglie di fare teatro per ragazzi e capisce che è più importante fare teatro per ragazzi bene che non fare male qualsiasi altra cosa. I riscontri positivi sono infiniti: se porti un lavoro teatrale di qualità i bambini se lo ricordano, ritornano e si riesce a coltivare un pubblico, che da adulto sarà sensibile al fascino del teatro”.
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