Primarie Lega: Salvini ce l’ha più duro di Bossi
Non è Renzi l’unico vincitore delle primarie, un altro Matteo ha appena conquistato la segreteria del proprio partito: si tratta di Matteo Salvini, l’uomo giovane come Renzi, che grida improperi come Grillo e che ha appena spodestato Bossi.
La coltre d’attesa che ha investito le primarie del Pd ha finito per offuscare (non che ce ne lamentiamo) un’altra competizione di partito: quella della Lega Nord, nel cui alveo peraltro le primarie sono una completa novità. Le due gare elettorali, svoltesi quasi in contemporanea, hanno dato medesimo esito. A uscire vincitore da entrambe è infatti lo stesso prototipo di giovane quarantenne che, forte di un risultato schiacciante, sbandiera la propria fiera determinazione nel cambiare radicalmente le cose. Se questo atteggiamento nel placido Pd lascia tutti interdetti, tra i leghisti è tradizione e Matteo Salvini non è poi uomo così di rottura ma si pone nel solco del padre del turpiloquio politico, Umberto Bossi. Eppure il Senatùr si trova per la prima volta a dover rincorrere, in posizione di svantaggio dentro quella Lega che lui stesso ha creato. A nulla gli è servita la paternità del partito, il leader storico del Carroccio si ferma a un misero 18% dei consensi, mentre Salvini vola all’82% e conquista la segreteria, succedendo a Roberto Maroni, che ha voluto lasciare in anticipo la sua poltrona per dedicarsi a tempo pieno alla presidenza della regione Lombardia.
La vittoria è schiacciante ma non particolarmente significativa, considerato che hanno votato solo 10 mila persone, un pugno di uomini che rappresentano il 60% degli aventi diritto, ovverosia dei militanti con un’anzianità di iscrizione al partito di almeno un anno. Il risultato delle primarie sembra mostrare il volto di una Lega che, proprio come gli altri partiti sullo scacchiere, si fa tentare dal rinnovamento anagrafico. Con affetto per i predecessori però. Salvini infatti a ridosso dell’esito ha dichiarato alla stampa: «La prima persona che cercherò al telefono è Umberto Bossi, senza di lui non saremmo qua». E in effetti la voglia di cambiamento resta intangibile e il nuovo segretario leghista se la prende con i nemici di sempre: «La mia sarà una Lega di battaglia che avrà come primo obiettivo quello di riprendere la sovranità dall’Unione europea, ci siamo rotti le palle che Bruxelles ci deve dire come dobbiamo vivere, questo è un gulag». L’Europa è il bersaglio, la stessa Europa di cui Salvini è parlamentare dal 2009, e prima ancora fra il 2004 e il 2006. L’eurodeputato promette che i suoi alleati saranno gli euroscettici come il Front National di Marine Le Pen, attesa al congresso di Torino che il 15 dicembre ratificherà la nomina del nuovo segretario, insieme ai rappresentanti delle destre di Olanda e Austria ma anche parlamentari russi vicini a Putin.
Gli altri punti in agenda del nuovo segretario leghista sono i referendum per l’abolizione dei prefetti, definiti «simbolo di occupazione di uno Stato ladro sull’orlo del fallimento», e poi la guerriglia parlamentare contro indulto e amnistia, perché «prima di occuparsi delle condizioni disumane dei carcerati bisogna occuparsi delle condizioni disumane in cui versano le imprese che chiudono e chi è senza lavoro». Subito gli arriva il plauso dei fondatori del partito, in particolar modo del suo padrino Roberto Maroni che si impegna a twittare in favore di Salvini più di quanto faccia il diretto interessato, che invece non perde tempo a raccogliere congratulazioni ma ostenta un atteggiamento fattivo comunicando senza sosta le trasmissioni in cui è ospite e i suoi incontri con la cittadinanza. Ma il giovinetto tutto azione e razzismo, che desidera abolire il Ministero per l’integrazione, più che fare dovrebbe, ogni tanto, fermarsi a pensare.
di Francesca De Leonardis