Quello che perde i pezzi

In una strana operazione di paleo-restyling  il leader politico più anziano del paese rifonda Forza Italia, ripropone cioè un’idea di trent’anni fa contribuendo alla saga  dell’eterno ritorno di se stesso. Svanisce, più che scindersi, il PdL, nato sul predellino e fin da subito votato a perdere pezzi lungo la strada: FLI, Fratelli d’Italia, Tremonti, Mario Mauro e una lunga lista di dirigenti fuoriusciti.

Adesso il Nuovo Centro Destra di Alfano, Cicchitto, Schifani, Giovanardi e Lupi, tutti ormai ex-esponenti del PdL che non ci saremmo stupiti di trovare sul fronte lealista, si sgancia ma non troppo, giusto quel tanto che basta per restare la gamba destra delle larghe intese. Gamba superflua alla Camera, dove il PD ha i numeri per governare da solo, e malferma al Senato, dove i trenta alfaniani portano il Governo Letta a una manciata di voti di vantaggio,  appena sette. Per comprendere i nuovi equilibri parlamentari a questi vanno sommati i Senatori a vita, recentemente nominati da Napolitano proprio allo scopo di fungere da paracadute al Governo in caso di necessità.

Come prevedibile  oltre il 70% del partito resta col padre fondatore, e la forbice nella quale Alfano sembra potersi muovere alle politiche va da un discreto 7% nel caso migliore, con  scenari meno ottimistici che lo condannerebbero a una irrilevanza finiana. L’impressione è che altra sabbia sia scivolata via dalla clessidra di Letta e delle intese sempre  più strette su cui poggia il suo governo.

Eppure, la somma dell’area di centro-destra nel complesso non ci rimette e, anzi, grazie al suicidio di Vendola scoperto a sghignazzare coi padroni, guadagna punti nei sondaggi sul centro-sinistra. Del resto l’Imperatore, come lo chiamavano i suoi sodali quando ad Arcore si faceva festa tutte le sere, potrà avere finalmente mano libera per entrare in campagna elettorale permanente, lanciare dichiarazioni anti europeiste e soprattutto anti-Euro  (l’uomo ha fiuto, questo non gli va negato) e tentare di crescere lentamente nei sondaggi nei nuovi panni di Capo dell’Opposizione messo in galera dal regime. Forse si paragonerà a Mandela, forse a Gramsci, chissà. Per Berlusconi era urgente uscire dal Governo ma anche necessario tenerlo in piedi. Del resto lo scisma,  come ha fatto intendere  Alfano, non è contro il padre del centro-destra, ma contro il veleno che i falchi hanno versato per mesi nelle sue orecchie.

Se poi gli alfaniani scissionisti tornassero all’ovile al momento giusto, saremmo davanti a un capolavoro politico. In questo scenario machiavellico, Alfano si rivelerebbe improvvisamente come una potente figura tragica. Nel romanzo “La Gloria” di Giuseppe Berto, Giuda si rivela il più fedele degli apostoli, consapevole di compiere il disegno divino al costo più alto, quello di dover passare da traditore senza esserlo nell’animo, pugnalando alle spalle la persona amata per obbedire a un ordine di questa. Per tornare alla politica  viene in mente il 1994-95, anno in cui nella Lega, in dissenso con Umberto Bossi, Maroni dichiarò di voler uscire dal partito, reclutando un suo seguito e preparando di fatto una scissione nel Carroccio. In un’ intervista di quel periodo Gianfranco Miglio, il primo e ultimo dirigente leghista davvero colto,  da poco uscito dal partito, spiegò a un giornalista perplesso che la finta scissione era stata organizzata da Bossi e che le due ali si sarebbero presto ricomposte come da accordi pregressi. Così infatti accadde.

Forse l’ipotesi è troppo complottistica e, più probabilmente, la slavina nel PdL è soltanto un epifenomeno dello sgretolamento in atto nel sistema politico italiano, per il quale fino a pochi anni fa si vagheggiava addirittura un futuro nel segno del il bipartitismo.

 

 

 

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