«Acqua che non si aspetta, altro che benedetta!»
Acque al veleno nella ‘Terra dei fuochi’, un’anteprima di “L’Espresso” racconta il dramma in Campania, attraverso fonti U.S.A. Che studiano il caso fin dal 2008. Rifiuti tossici, roghi altamente inquinanti, acque contaminate e gas che escono dal sottosuolo, il report dei militari degli Stati Uniti presenta così a tutto il mondo uno stralcio del nostro bel Paese.
E gli italiani? Gli americani si preoccupano di mettere in sicurezza i militari di stanza in Campania ma l’Italia non fa niente per informare i suoi cittadini circa il grave pericolo che incombe su noi tutti. Eppure le indagini vanno avanti dal 2008 e sono in Rete, a portata di click. E sono anni che si denunciano roghi tossici e misfatti velenosi nella Terra dei fuochi, la Terra di Nessuno. Sembra un film di fantascienza e, invece, qualcuno sta realmente distruggendo quel territorio che i latini chiamavano ‘Campania felix’, lo fa la camorra, traendone massimo profitto, annientando vite. L’Italia mantiene, dunque, il segreto istituzionale e il Consigliere Corrado Gabriele ha richiesto l’intervento della Magistratura per vietare l’uscita in edicola del giornale; il tutto viene soffocato, persino le stime dei malati, mentre, la gente si ammala e muore silenziosamente, come in una guerra civile tossica e senza scampo, sigillata da una coltre di omertà legalmente architettata e gestita. In ogni caso le prove ci sono e potete trovarle con una semplice ricerca sui siti ufficiali della Marina militare americana alla voce ‘health awareness’ e questo è il riscontro di ciò che – si spera – verrà pubblicato dal’Espresso, a onor del vero:
« Il servizio dell”Espresso’ – si legge – rende noti i risultati inediti e sconvolgenti di una corposa ricerca richiesta dal comando americano di Napoli, eseguita da primari laboratori di analisi sulla base di campioni di acqua, cibo, terreni, fumi raccolti lungo l’arco di due anni – dal 2009 al 2011 – su un’area di oltre mille chilometri quadrati e costata ben 30 milioni di dollari». Nessuna area è sicura, neppure la città di Napoli, «Bevi Napoli e poi muori», un titolo, un luogo comune o uno slogan? Non è soltanto questo, è un ammonimento che rivela una catastrofe ambientale di proporzioni apocalittiche e danni incommensurabili perché riguardano fiato e sangue, vite umane, ambiente, territorio, una parte di patria. Le aree interessate dalle analisi sono quella a ridosso dei Campi Flegrei , nel napoletano e quelle limitrofe a Lago Patria nel casertano, qui, infatti, sono stanziati i militari U.S.A con le loro basi. È stato il Comandante della Marina militare per la Regione Europa, Africa, Sud Est Asiatico, nel 2007, a richiedere una Valutazione sulla salute pubblica (la cosiddetta Phe) del personale degli Stati Uniti e relativi familiari, di stanza in Campania, per mettere in sicurezza le truppe. Le indagini sono state condotte dal 2008 al 2012 dalla Tetra Tech Inc, una società californiana di analisi ambientali.
Oltre duemila pagine riportano i risultati di uno scenario sconfortante: presenza di anomala di idrocarburi, forte eccedenza di contaminazione batteriologica nel 30% dei casi analizzati, con valori di coliformi totali anche 50 volte superiori la norma e la presenza massiccia di coliformi fecali, riscontrati in 48 casi in una decina di comuni: Caserta, Casal di Principe, Casapesenna, Gricignano d’Aversa, Pozzuoli, San Maria Capua Vetere, San Cipriano D’Aversa, Villa di Briano e Villa Literno. Questa notizia, allora, generò un giusto allarme perché gli americani fecero scattare il divieto di bere e di cucinare con quell’acqua, disponendo la fornitura gratuita di bottiglie di minerale per tutti i 1.200 soldati.
Nel corso degli anni sono emersi altri dati da brivido. La cronaca di Ciro Pellegrino ci fornisce i seguenti dettagli: «Un documento della Naval Support Activity Naples del 2010 e uno successivo del 2011 hanno confermato le criticità individuate nelle analisi dei gas del suolo: presenza di benezene, cloroformio, etilbenzene e sulle acque: presenza di arsenico, di tetracloretano in particolare a Casal di Principe e Villa Literno, e infine presenza di nitrati. Nell’analisi degli acquedotti, in 9 delle 14 condutture la presenza di arsenico (nell’area di Carney Park a Quarto e a Lago Patria), «si è rivelata superiore al livello massimo di contaminazione». Mentre, nel mese di maggio 2013 l’ultimo rapporto, denominato “Navy and Marine corps public health center- Naples public health evaluation, a risk communication case study”, riepiloga le drammatiche analisi e spiega che le forze militari statunitensi di stanza all’ombra del Vesuvio hanno definito quali sono le aree ad alto rischio e disposto la sospensione di nuovi contratti di locazione per i militari Usa nelle zone pericolose.
Ma il caso della Resit non ci fa perdere le speranze nella giustizia che, se pur prudente nel giudicare atti di camorra, ha finalmente emesso un giudizio contro il clan campano dei Casalesi, accertando un inquinamento delle falde acquifere per la gestione criminale della discarica Resit di Giuliano, ad opera del boss Francesco Bidognetti. La sentenza ha condannato a 20 anni il boss per Associazione camorristica finalizzata all’avvelenamento della falda acquifera e disastro ambientale, sei anni di reclusione a carico dell’ex parlamentare Domenico Pinto (per anni presidente del Consorzio di bacino Napoli tre), condannato per falso e disastro doloso ma assolto dall’accusa di avvelenamento della falda acquifera aggravato dal fine mafioso (Il Mattino di Napoli).
Questa è la bella Terra dei fuochi, fatui oramai.
Eva Del Bufalo