Il fantasma dello Stato
Mentre il Governo italiano, apparentemente in preda a un attacco di glossolalia, si dedica al gramelot fiscale tramutando l’ IMU in TARSU, TARES, TASI, TRISE e, infine TUC, che ha giusto il nome di un biscotto, uno spettro torna ad aggirarsi per l’Europa: il fantasma dello Stato. I ragazzi nati dopo l’era Thatcher-Reagan hanno sempre sentito parlare dello Stato come di un sistema di saccheggio burocratico, inefficiente e obsoleto, da smantellarsi al più presto possibile fino alla riduzione ai minimi termini.
Oggi infatti Emergency valuta se costruire un Pronto Soccorso gratuito a Praia a Mare, mentre soltanto nel 2000 uno studio dell’OMS metteva l’Italia al secondo posto al mondo per la sanità pubblica, meglio della Svezia. La scarnificazione del patrimonio e dei poteri dello Stato, era l’ideologia dominante dell’era post-ideologica, il pensiero buono per tutte le stagioni. La denigrazione del ruolo statale, ridotto a Stato esattore, a destra e il liberismo de-facto(sic) a sinistra, hanno contribuito a produrre una classe politica di pessimi amministratori del bene pubblico, nel cui ruolo semplicemente non hanno mai creduto. In quegli anni Francis Fukuyama annunciava, a torto, la fine della storia e Manuel Castells prevedeva, a ragione, la riduzione dello Stato-Nazione a Stato-Membrana, sottile ente di mediazione schiacciato tra le comunità locali e il Moloch europeo. Oggi che lo Stato è in ginocchio la profezia si auto-avvera, ma le conseguenze della spoliazione di sovranità statale hanno generato un tale disagio economico da far aumentare la domanda di welfare e da richiede uno shock endogeno per far ripartire la crescita e l’occupazione. L’eterna attesa di una ripresa europea cui agganciarsi, barcamenandosi nel frattempo per far tornare i conti a suon di austerity, è una politica già sperimentata che non arresta l’emorragia di imprese fallite, di posti di lavoro persi e know-how gettato al vento o emigrato all’estero.
Eppure il fantasma riappare nei consensi a Bagnai o a Barnard, i quali vorrebbero che lo Stato si riappropriasse innanzitutto della sovranità monetaria e del controllo della Banca d’Italia. Si fa vivo nel successo inglese del libro nel quale Mariana Mazzucato rilancia lo Stato imprenditore e la valorizzazione del bene pubblico, tesi che l’economista ha difeso con competenza anche ieri sera in TV davanti a un intimorito Michele Boldrin (lo stesso che soltanto qualche mese fa sbranava in diretta la Napoleoni per molto meno). Seppure, come spesso gli accade, in modo poco strutturato, lo Stato ritorna nel Reddito di Cittadinanza proposto dall’M5S. Lo Stato tornerà perché dopo gli scandali dei grandi gruppi e la desertificazione delle PMI, neppure gli spiriti animali dell’imprenditoria italiana, citati diverse volte dal Presidente Napolitano, ispirano più la fiducia di un tempo. Se davvero lo Stato dovrà comunque tornare prepotentemente sulla scena, meglio allora che queste idee, calunniate per eretiche, circolino e se ne discuta, fino a trovare prima o poi una seria rappresentanza politica. Se lo Stato non riprenderà la propria centralità attraverso la partecipazione allora rischia di farlo, in questo Grillo ha ragione, nelle proprie manifestazioni più aberranti, inclusi fenomeni simili ad Alba Dorata. Il Governo Letta, che parla di privatizzazioni e di rigore giocando a scarabeo coi nomi delle tasse, sembra purtroppo non essersene accorto.
di Daniele Trovato