Una Legge di Stabilità tutta da rifare
Nulla di fatto. È passato quasi un mese da quando il Consiglio dei Ministri ha approvato la Legge di Stabilità e non si è ancora arrivati a un testo condiviso. Una pioggia di emendamenti si è abbattuta sul provvedimento, tra proposte di vendita delle spiagge e rapide marce indietro da parte del Pd.
L’appena sfornata Legge di Stabilità sembra più scricchiolante che mai. Ci si aspettava proposte di aggiustamento ma non di certo una valanga di oltre 3.000 emendamenti. Mostrano di non temerli il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni e il suo vice Stefano Fassina, che hanno dichiarato che molti di questi si autoelimineranno perché risulteranno non ammissibili. Non che la cosa abbia in sé un elemento d’incoraggiamento. Dando un’occhiata più da vicino ai contenuti delle proposte notiamo che c’è un atteggiamento indistinguibile tra i due partiti di maggioranza, che riflette perfettamente il rapporto ambiguo che hanno stabilito governando insieme il paese. Le due faglie restano contrapposte se si fronteggiano su impostazioni ideologiche di base, per cui il Pdl preme per liberare dalle tasse sulla casa e il Pd è orientato ad alleggerire le tasse sul lavoro. Ne consegue una tensione che fa presagire scontri alla votazione degli emendamenti che comincerà questa sera al Senato.
Insieme alle contrapposizioni si è venuto delineando anche un indirizzo d’intesa, con la proposta bipartisan di ampliare la “no tax area“, ovvero quella fascia di esenzione da Irpef che dal riguardare i redditi inferiori a 8 mila euro si vorrebbe ampliare ai 12 mila euro. Fassina si è scagliato con tono imperante contro l’emendamento affermando che non c’è accordo sulle coperture: «L’operazione è molto costosa e non è finalizzata soltanto ai redditi più bassi». A ogni modo si tratta probabilmente di un “emendamento civetta“, cioè presentato soltanto per dichiarare battaglia e sperare, nella lotta, di accaparrarsi almeno qualcos’altro. Su che cosa si voglia ottenere c’è però in effetti parecchia confusione, soprattutto nel Pd che, con nove senatori e prima firmataria Manuela Granaiola, ha proposto e poi ritirato un emendamento per privatizzare parte delle spiagge. La sdemanializzazione, orrore linguistico che indica il passaggio dal pubblico al privato, di zone del litorale su cui estendere la concessione agli stabilimenti balneari era già una proposta targata Pdl e fa capolino anche tra le idee del Pd, che con una mano la propone e con l’altra subito la smentisce, non facendo mistero del proprio stato confusionale. Il Ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ha alzato al voce: «Le norme che propongono la sdemanializzazione di porzioni di litorale e spiagge sono politicamente inaccettabili e tecnicamente sbagliate». Uno dei firmatari del provvedimento, Andrea Marcucci, arrossisce e ci ripensa: «Ho ritirato la mia firma in quanto ad un più approfondito esame tale ipotesi risulterebbe difficilmente applicabile su scala nazionale».
Nell’indecisione vengono scagliati da ogni dove altri improbabili emendamenti. Abolita l’Imu non si è fatto in tempo a prendere confidenza con le nuove Trise e Tasi che già sono sorpassate: la tassa resta ma cambia nome, sperando di generare così un’indomabile confusione, e allora si propone che Imu, Irpef sulla casa e addizionali si condensino nella new entry Tuc. Insomma, alle porte dell’operazione di setaccio di queste interminabili annotazioni resta chiaro che a essere stabile e trasversale è solo l’incapacità di offrire un piano economico coerente e sensato.
di Francesca De Leonardis