The Pillowman al T. Schreiber Studio
The Pillowman, l’opera di Martin McDonagh in scena al T. Schreiber Theatre di New York, si apre con l’interrogatorio del protagonista da parte di due agenti di polizia in quello che, in tutta evidenza, appare come un regime totalitario. Il personaggio principale è uno scrittore all’oscuro del motivo per cui è stato tratto in custodia.
Non è un crimine scrivere delle storie, quantomeno, come fa notare uno degli agenti, se si rispettano determinate «restrizioni», anzi, «linee guida» per la sicurezza dello Stato. Katurian è conciliante, ma si accalora quando rivendica il proprio diritto di scrivere, perché «Il primo – anzi, l’unico – diritto di un romanziere è quello di raccontare una storia». Scopre, con raccapriccio, che in città sono stati perpetrati dei criminimolto simili a quelli descritti nei propri racconti e la polizia è incline a pensare che lo stesso scrittore sia coinvolto nella vicenda o che il semplice scrivere delle storie abbia una portata suggestiva e una valenza criminale. Scrivere non è né giusto né sbagliato, è semplicemente un’urgenza, una cosa che accade al di là del bene e del male. La stessa impellenza è condivisa da uno degli aguzzini, che, ad un certo punto, racconta a Katurian una delle proprie storie e, se il personaggio non facesse orrore, farebbe quasi tenerezza per l’orgoglio che prova per il proprio racconto. Chissà, forse il tenente Tupolski è, in fondo, geloso del talento di Katurian. Il potere teme, invidia e soffre alla vista della libertà. The Pillowman è affidato alla sapiente regia di Peter Jensen, Direttore Artistico del TSchreiber Studio, che dice di aver scelto questa pièce per il messaggio che contiene, quello di continuare a vivere nonostante la consapevolezza che la vita ci procurerà del dolore.
Il personaggio principale è interpretato da Josh Marcantel, che conferisce a Katurian qualcosa di molto umano, tenero, che suscita benevolenza da parte del pubblico, e va al di là della velo di condiscendenza che Katurian possiede sulla carta. Molto convincente anche la prova di Alexei Bondar, nel ruolo del fratello del protagonista. Non c’è né catarsi, né alcun intento paideutico in The Pillowman. Non si è in cerca di riscatto o redenzione, non si offrono facili soluzioni. La posta in gioco è altissima, in palio c’è la vita stessa, e quello che lasciamo dietro di noi, che è più importante della nostra stessa vita, come dimostra Katurian, capace di qualunque sacrificio pur di salvare le proprie storie. The Pillowman descrive quale viatico potente possa essere la scrittura, e quale sia il prezzo che si richiede a un artista in cambio dell’impudenza che dimostra nel voler avvicinare e decifrare un frammento di realtà.