L’Iraniano Acrid in concorso al Festival di Roma

In concorso all’ottava edizione del Festival del Cinema di Roma è stata presentata l’opera prima del regista iraniano Kiarash Asadizadeh (classe 1981) dal titolo AcridUn film sulle donne iraniane. A Teheran. Si parte dalla storia di Soheila e Jalal, una coppia in crisi, lui fa il medico e la tradisce con la segretaria, lei lo sa e ne soffre in silenzio. Seconda storia: Jalal prende una nuova segretaria, la vuole non sposata perché così può fare turni più lunghi a lavoro.

 La nuova segretaria si chiama Azar e finge di non essere sposata per lavorare, in realtà ha un marito di nome Khosro, dal quale ha avuto due figli. Anche questa coppia è in crisi, perché (terza storia) lui lavora in una scuola guida e la tradisce con una delle sue allieve Simin, che è anche docente all’università. I suoi corsi di chimica sono seguiti da Mahsa, indecisa sul futuro della relazione con il suo fidanzato. E questa è la quarta storia. C’è poi la quinta storia che torna al punto di partenza: Jalal è il padre di Mahsa. Al centro di Acrid lo sguardo delle donne: donne tristi, ferite, deluse, donne affaticate come Azar, costretta a lavorare fingendo di non essere sposata per poi tornare a casa e pulire le camicie sporche del marito. Donne tradite da uomini che non sono più in grado di essere uomini. Uomini traditori, spaesati, che bevono, urlano o peggio alzano le mani.{ads1}

Il regista segue e pedina (quasi come nei film neorealisti) le sue protagoniste riportandoci primi piani e sguardi di donne con empatia. “Tutta colpa di queste vite tradizionali! Il matrimonio!”, dice uno dei personaggi del film denunciando come la struttura familiare si stia progressivamente allentando e come i componenti della famiglia abbiano sempre meno rispetto reciproco. La situazione in Iran è aspra, come dal titolo (Acrid: traduzione aspro). Aspra anche a distanza di tredici anni. Era l’anno 2000 quando l’iraniano Jafar Panahi vinceva il Leone d’oro con il film Il cerchio, dedicato anche questo alla difficile condizione della donna in Iran descritta attraverso otto ritratti di donne. Ritratti inseriti all’interno di una narrazione circolare che si ricomponeva solo nel finale. Un film circolare, come Acrid, un cerchio che si ricompone solo nel finale. Ma il cerchio non si chiude. Le colpe dei padri ricadono sui figli? Non c’è scampo? E la difficile condizione della donna in Iran, ora sotto la presidenza del riformatore moderato Hassan Rouhani, avrà mai modo di cambiare? Nell’Iran dei nostri giorni la condizione della donna sarà sempre subalterna e sofferente? Il cerchio è aperto…

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