sVendolAmbiente?

Quest’anno per 53 tra politici e dirigenti aziendali (e non solo) Halloween è arrivato con 24 ore di anticipo: lo scherzetto, però, solleva un puzzo ben maggiore di un uovo spiaccicato contro il vetro di casa e fa più rumore di un dito incollato per qualche secondo a un citofono.

Gli impavidi guastafeste della Procura di Taranto dopo anni di soprusi, conflitti d’attribuzione e interferenze dal mondo della politica hanno portato a termine le indagini preliminari dell’inchiesta “Ambiente svenduto”. E dei pesci caduti nella rete, alcuni sono particolarmente grossi e pesanti.
Partiamo con il dire che l’area di centro-sinistra ha registrato un notevole colpo gobbo, arraffando la maggior parte dei posti a disposizione: coinvolti gli assessori Fratoianni e Losappio, il capo Gabinetto alla Regione Francesco Manna, il Presidente dell’Ilva Bruno Ferrante (candidato Sindaco di Milano per la Margherita nel 2006), i consiglieri Donato Pentassuglia e Lorenzo Nicastro, il Presidente della Provincia Giovanni Florido e il Sindaco Ippazio Stefàno (SEL). Ma anche e soprattutto il Presidentissimo: Nichi Vendola.

Per lui, il fulcro della matassa è costituito dalle intercettazioni telefoniche che lo vedevano coinvolto con l’allora dirigente Girolamo Archinà (suo attuale compagno nel registro indagati). Il 6 luglio 2010, tra una risata e l’altra circa un episodio nel quale Archinà strappò dalle mani il microfono a un giornalista che chiedeva lumi sui casi di tumore nel capoluogo ionico («sono molto colpito da una scena che ho appena visto ora […] i miei amici mi hanno fatto vedere a Roma una conferenza stampa e un’immagine, uno splendido scatto felino […] non potevo riprendermi, ho visto una scena fantastica»), il Governatore si lasciò andare a delle dichiarazioni che parevano almeno curiose: «l’Ilva è una realtà produttiva cui non possiamo rinunciare […] poteva chiamare Riva e dirgli che il presidente non si era defilato». Ecco, a meno che non avvengano eventi straordinari, come che per esempio Vendola non dimostri in breve tempo che a chiamare non fosse lui ma – magari – quell’imitatore radiofonico che telefonando ai vari Bersani e compagnia cantante, tra un tempo d’attesa e l’altro poneva in loop la Taranta, a pochi giorni tutto culminerà nell’avviso di garanzia. Cosa succederà allora non si sa, ma probabilmente è per questo che, anticipando i tempi e secondo una prassi nata nelle lande dell’Afghanistan e assai di moda recentemente nelle alte sfere del Belpaese, è arrivato il videomessaggio autoassolutorio. In esso, Vendola parla di errori politici dei quali dovrà, per forza di cose, spiegare ai giudici. Sono altri sbagli quelli di cui però dovrà render conto a chi per ben due volte gli ha conferito fiducia nel segreto delle urne; si tratta di dichiarazioni smentite, dubbi irrisolti, punti interrogativi che un politico deve assolutamente raddrizzare nelle menti di chi lo sostiene onerosamente con le proprie tasse.

Nel novembre 2010 la rivista Il Ponte, edita dall’Ilva e successone scomparso in poco dalle edicole, esordisce con una bella intervista nella quale il Governatore riscrive il libro Cuore e confessa sentimentalmente il primo incontro con Emilio Riva: «chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi». Ma c’è dell’altro: l’odierno pigolare di aver «sfidato in solitudine il potere dei Riva» stride fortemente con il «Vendola ad Archinà gli vuole bene» che Fabio Riva confidò al proprio avvocato Francesco Perli. Persino Striscia la Notizia, mandando in onda recenti autodifese, ha trovato modo di canzonare Vendola riportando in auge una conferenza del 2010 nella quale, con a fianco il Sindaco di Taranto, affermava gaudente di dover «ringraziare molto l’ingegner Riva – per il – rapporto vero che si è venuto a creare dopo vari momenti di tensione».
Sia chiaro, due frasi in croce – magari sbagliate nel contesto o nella forma – non fanno di una persona X un colpevole certo, e di eventuali casi in malafede sarà la giustizia eventualmente a prenderne atto e trarne le conseguenze. Se è vero però che da un grande potere derivano grandi responsabilità, occorre fare chiarezza totale su una zona geograficamente troppo ammaccata e annebbiata da fumi tanto tossici quanto vagamente politici. Toccherà a Nichi Vendola dissipare tutte le nuvole che attualmente ne circondano l’operato; magari presentandosi con un’aria diversa rispetto a quella che, ai primordi dell’indagine che la pm Digeronimo iniziò nel 2009, lo portò a sostenere che ai suoi danni era stato messo in atto uno «strumento di campagna politica e mediatica» con l’obiettivo di «costruire la mia (di Vendola, ndr) morte» attraverso «briganti che prendono il posto dei gentiluomini e viceversa». Anche perché i giochi rispetto ad allora sono cambiati, e soprattutto, di fronte al fatto che il leader di un partito chiamato Sinistra, Ecologia e Libertà viene indagato per il reato di concussione in disastro ambientale, metafore vagamente manzoniane potrebbero apparire realmente poca cosa.

di Mauro Agatone

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