Obamacare, successo o fallimento?
Il 26 settembre il Presidente degli Stati Uniti si era profuso in un discorso molto accorato sull’ Affordable Care Act, la riforma sanitaria meglio conosciuta come “Obamacare” che dovrebbe dare l’imprinting al secondo mandato di Barack Obama. Aveva, nell’occasione, ricordato come, nella prima potenza al mondo, l’assistenza sanitaria non dovesse essere il privilegio di alcuni, ma il diritto di tutti.
E sottolineato l’ingiustizia di casi come quello di bambini a cui è stata negata copertura per via di una condizione preesistente come l’asma; di malati di cancro che hanno dovuto scegliere tra avere una casa e curarsi; di datori di lavoro impossibilitati ad offrire un’assicurazione per via dei premi troppo alti. Il nuovo piano consentirebbe a chiunque non ha avuto finora accesso ad un’assicurazione il diritto di acquistarne una, senza che questo vada a detrimento di chi ha già accesso all’assistenza. Il programma prevedrebbe maggiori benefici per tutti, al prezzo di un onere contributivo leggermente più significativo per i più facoltosi.
Quella riforma osteggiata dai Repubblicani duri e puri che, in realtà, prende le mosse da un’idea dell’amministrazione George W. Bush, è diventata legge, ma stenta a decollare. Il sito HealthCare.gov, il luogo dove poter comparare ed acquistare le polizze, è costellato di problemi: il portavoce alla Casa Bianca Jay Carney ha rassicurato chi teme che le sottoscrizioni comportino dei rischi in termini di sicurezza e confermato che una squadra di esperti informatici è al lavoro per ovviare ai problemi di funzionamento di HealthCare.gov che, al momento, conta solo una manciata di iscritti.
Le perplessità, tuttavia, non si riducono al mancato funzionamento del luogo di mercato. I detrattori della riforma obiettano che i premi saliranno significativamente per quella fascia di popolazione giovane, agiata e in buona salute che attualmente beneficia di convenienti accordi assicurativi. Uno scenario che accontenti tutti semplicemente non è ipotizzabile, e se la contropartita per un sistema sanitario più giusto è che i ceti più agiati contribuiscano in proporzione alle proprie risorse, tutto questo parrebbe, di primo acchito, accettabile. E in realtà le obiezioni più plausibili non vengono sollevate da quella canea oltranzista che ha sottoposto l’America a rischio di collasso finanziario, ma da profondi conoscitori della materia ed editorialisti al di sopra di ogni sospetto come Ross Douthat del “New York Times” e Jonathan Cohn di “The New Republic”. Il timore è che si richieda ai cittadini più abbienti un sacrificio troppo grande, talmente sconveniente che si paventa che molti di loro possano preferire pagare la penale obbligatoria per chi non sottoscrive una polizza, piuttosto che aderire ad un piano di gran lunga più penalizzante di quello a cui avrebbero avuto diritto prima dell’Obamacare. Il che potrebbe innescare un circolo vizioso che porterebbe ad un innalzamento dei premi assicurativi. Sembra azzardato dare per scontato che la popolazione che possiede già un piano sia disposta a pagare di più e a sostenere i costi necessari a ridistribuire gli oneri assicurativi, pur dietro la promessa di una migliore e più onnicomprensiva copertura.
Oltre che frustrazione, il fallito lancio di HelthCare.gov ha, prevedibilmente, fornito materiale di satira. Il Saturday Night Live, il popolare show della NBC, aveva sorprendentemente previsto l’esito del disastro: «Milioni di Americani stanno visitando HealtCare.gov, il che è un’ottima notizia. Sfortunatamente, il sito è stato programmato in modo da poter gestire solo sei utenti alla volta».
Claudia Pellicano