Bloccate questo spettacolo!

La prima “Notte Rossa” contro il femminicidio è quella che si è svolta ieri a Roma, in più teatri della capitale, ideata da Betta Cianchini, l’autrice dei testi dei monologhi che per una settimana al Teatro Lo Spazio sono andati in scena. Promossa e organizzata dall’Associazione Punto D, è andata a segnare la chiusura della maratona teatrale “Storie di donne morte ammazzate” con molteplici esponenti politici, avvocati, giornalisti e poliziotti delle forze dell’ordine.

Ciò che è stato organizzato ieri sera nel piccolo teatro di Roma è stato un vero e proprio spettacolo dove pubblico e attori si sono incrociati e hanno avuto la possibilità di dire la loro sui diversi argomenti legati al femminicidio. Infatti, attraverso la lettura di brani tratti dai monologhi e di vere e proprie testimonianze raccolte dall’Associazione Punto D e dalla stessa autrice dei testi, si è parlato di “Uomini, figli prima che mariti”, “Paura e isolamento delle vittime”, “Gli stereotipi”, “Pregiudizi, omosessualità e violenza”, “L’importanza del sostengo e della protezione delle vittime”, “Violenza di genere e minori”, “Il ruolo della formazione degli operatori” e, infine, “Dove si inceppa il meccanismo?”.
Quello che è successo qui, in un teatro così piccolo ma così pieno di gente, è stato un susseguirsi di applausi, parole, momenti di rabbia, emozioni e commozioni che difficilmente non potrebbero toccare il cuore, lo stomaco, di una persona. Una sala riempita da tante, tantissime donne, ma anche da uomini, seppur minori, seppur di meno, ma che sono saliti sul palco, partendo da una testimonianza, e hanno detto ciò che pensavano. Nessuno di loro era un manichino messo lì così a caso, anzi. Padri, ex mariti, figli e fidanzati, si sono aperti e hanno ringraziato tutte le associazioni, compresa la Befree e Se non ora quando?, per il lavoro che si sta svolgendo. {ads1}
Più di una volta, essendo un tema caldo, è stato toccato l’argomento dell’approvazione della legge contro il femminicidio, legge più che giusta ma è alquanto assurdo pensare che il mondo abbia bisogno di ciò per andare avanti. Il momento più alto della serata si è raggiunto con Francesca, una donna di più di 40 anni che ha avuto il coraggio di prendere il microfono in mano e di raccontare la sua storia. Lei ce l’ha fatta, lei è riuscita a scappare e a salvarsi, nonostante lividi e fratture non se ne andranno mai. Maltratta, menata, ridotta e costretta a andare in ospedale per sottoporsi a più operazioni per le fratture che riportava ogni volta sul corpo, Francesca è una donna vittima di violenza, una violenza così cattiva dove, come hanno ricordato le attrici, i calci non vogliono dire amore, sono calci e basta. Lei, oggi mamma di quattro maschi, e nonna di altri due bambini, sempre maschi, ha vissuto una situazione di disagio fisico, psichico e mentale dalla quale è riuscita a uscire solo grazie alla forza di vivere che aveva dentro, quella che ogni mattina, guardando i suoi bambini, raccoglieva da terra e decideva di non buttare via. Francesca, ad oggi, è una donna povera, molto povera, senza lavoro e che aiuta le donne vittime di violenza. È, però, allo stesso tempo, ricca dentro. Lei ha chiesto solo una cosa: essere ascoltata. Denunce su denunce sono state fatte, ma senza nessun riscontro positivo. Capita, più di una volta, di sentirsi dire “è sicura di quello che sta facendo? E’ pur sempre il padre dei suoi figli”, ma chi è dall’altra parte non ha la capacità di capire cosa sta davvero succedendo. Ma, la capacità e l’apertura mentale sono due cose che non si insegnano e che non possono essere imparate al volo. Nessun corso di formazione potrà mai far capire come si sente davvero una persona quando, con un livido e con un braccio rotto, arriva in caserma o allo sportello del pronto soccorso e ti chiede aiuto.

L’amore non è violenza. L’amore è felicità. Le donne non hanno ruoli, non sono quelle dei grembiuli rosa o delle scarpe che si illuminano. Non sono quelle che devono stare a casa perché hanno il marito padrone, questo non deve esistere. Uno dei monologhi recita così: “Una donna che ha mansioni da femmina, da moglie, da madre, da serva e che quindi serve per qualcosa, alla quale non serve affetto perché il suo compito è stabilito da leggi non dette e severe”.
Non devono essere legate a nessuno e a niente con la forza. I legami non sono quelli che si mantengono con le botte, quelli sono malsani, sono legami malati.
“Leghiamo la città” è stato il motto iniziale e finale della serata. Il teatro è stato rivestito e adornato di fili rossi legati e intrecciati a formare una rete simbolica. Sono stato uniti lampioni, pali e ogni altro tipo di appiglio, staccionate comprese, grazie agli artisti dello Swing Circus e ai trampolieri presenti in sala. Il rosso, inoltre, è stato il colore della serata. La maggior parte dei partecipanti indossavano un qualcosa di rosso, da una collana al vestito intero, a ricordare il colore del sangue, colore usato anche per il flash mob che si è tenuto circa sei mesi fa a Roma, a Piazza di Spagna.
Una serata fatta di lettura e lettere, che ha sbattuto in faccia la realtà dei fatti, netta e cruda così com’è e che, tutti speriamo, possa essere l’ennesimo trampolino di lancio per ogni persona, a partire dalla propria vita quotidiana, quella che si svolge ogni giorno nelle mura di casa, fino ad arrivare agli esponenti più alti. Non dovrà esistere un’altra Notte Rossa, perché non dovranno più esserci casi da raccontare.
“Quando tornano dal bar se ti vogliono bene qualche schiaffone o qualche cintata te la devono dare, altrimenti vuol dire che non ti calcolano proprio. […] E a me Maurizio mi calcolava eccome, e pure troppo”.

(Foto a cura di Roberta Gioberti)

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