Uscire dall’ Euro: e se avessero ragione loro?

Negli ultimi mesi ci siamo abituati a vederli  ospiti in diversi talk-show, sono seguitissimi su Internet e girano l’Italia organizzando convegni, eventi e interventi:  sono economisti e professori universitari e sostengono che l’uscita dall’Euro sia l’unica opportunità per evitare il disastro. I più noti sono tra gli altri Claudio Borghi Aquilini, Sergio Cesaratto, Emiliano Brancaccio e Alberto Bagnai.

Soprattutto quest’ultimo è stato in grado di farsi conoscere dal grande pubblico col lavoro di divulgazione svolto dal 2010 sul popolare blog Goofynomics, attraverso il fortunato saggio  “Il tramonto dell’Euro” (2012) e, infine, grazie a una certa vis polemica che lo ha visto duellare in rete e in TV coi numerosissimi e non sempre preparati  sostenitori della moneta unica.
 
E’ importante fare una precisazione: né Bagnai negli altri suoi colleghi sono sostenitori di tesi complottistiche o fantasiose, non hanno niente a che fare coi mitomani del signoraggio, non sono nazionalisti né anti-europeisti (l’Europa non è l’Euro, ripetono spesso), non c’entrano insomma nulla con la Le Pen o con Alba Dorata. Al contrario gli studi che stanno portando all’attenzione dell’opinione pubblica fanno riferimento all’opera di numerosi premi Nobel per l’Economia tra cui Stiglitz, Krugman e Mundell.  L’estrazione di molti di loro è post-keynesiana ma citano nelle loro tesi  eminenti economisti della scuola monetarista ortodossa (come Feldstein) e perfino le dichiarazione, rivelatrici, di molti fautori   dell’Euro (tra cui Romano Prodi) che dimostrano come essi conoscessero fin dagli anni 90 alcuni limiti macroscopici della moneta unica.

Secondo questa tesi la moneta unica, in assenza di una completa integrazione politica e fiscale, non può e non avrebbe mai potuto funzionare. L’Euro non rappresenterebbe neppure un esperimento unico nella storia, in quanto riconducibile alle passate esperienze dello SME e dei paesi del terzo mondo il cui debito pubblico e privato è esploso dopo che questi si erano agganciati alla valuta più forte (in genere il dollaro USA) di un paese strutturalmente diverso, con esiti disastrosi che molti osservatori hanno definito come effetti diretti di una politica economica, di fatto, neocoloniale. Su questo punto centrale esplode il conflitto insanabile tra gli interessi dei paesi del nordeuropa (Germania in primis) e quelli della periferia (i PIIGS) che, non potendo svalutare (svalutazione nominale), perdono competitività indebitandosi con l’estero e sono costretti a scaricare le tensioni economiche  contraendo i salari e precarizzando il lavoro (svalutazione reale). In questo modo, oltre a distruggere i redditi dei lavoratori, si comprime la domanda interna, cioè i consumi, con conseguente moria di aziende e  aumento  della disoccupazione.  Gli effetti di questo circolo vizioso sarebbero emersi definitivamente in presenza di uno shock economico esterno come la crisi dei subprime del 2008, a cinque anni dalla quale l’Europa non si è ancora ripresa. Una crisi nata negli USA e nei centri finanziari londinesi ma che, a causa della rigidità della moneta unica, ha finito col mietere le vittime maggiori in Europa, proprio in quei paesi come l’Italia il cui sistema bancario aveva pure molti difetti, ma non certo quello  di aver capitalizzato titoli tossici.

Sia Bagnai che Brancaccio (autore di un recente appello che vede firmatari diversi economisti di fama internazionale), spiegano come non si  tratti più di segnalare un possibile pericolo ma di effettuare una previsione: il punto non sarebbe ‘se’ uscire dall’Euro, ma ‘quando’ e soprattutto ‘come’.  Lasciando le cose come sono la spirale recessiva sarebbe destinata ad aumentare e l’unità monetaria a implodere in modo caotico e devastante, mentre un uscita guidata potrebbe limitare i danni. Queste tesi oggi non hanno rappresentanza politica nel parlamento italiano (Grillo propone un referendum sull’Euro, ipotesi bocciata per ragioni tecniche da Bagnai),  sono avversate dai principali opinion maker e rischiano di essere cavalcate in futuro, al crescere del disagio, da forze populiste di estrema destra.  Aprire definitivamente il dibattito sarebbe un esercizio di pluralismo,  un dovere democratico e, se hanno ragione loro, l’ultima ancora di salvezza prima che l’Italia e gran parte d’Europa, nel tentativo di  restare aggrappate al feticcio della moneta continentale, facciano la fine del Titanic e della Concordia.

di Daniele Trovato

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *