Gravity. Al confine della realtà
A 600 km dalla Terra non c’è nulla che trasporti il suono. Non c’è pressione dell’aria. Non c’è ossigeno. La vita nello spazio è impossibile. Infinito, profondità, senza tempo. Una realtà surreale con cui il limite umano fa fronte sfidando curiosità, meraviglia, spettacolo. A volte accade che la sfida si faccia ardua ed è proprio in questo caso che viene fuori l’irrazionalità, l’istinto, il desiderio di vivere.
Gravity, da oggi nelle sale cinematografiche italiane, è “un’imprevedibile catena di eventi” con i quali i protagonisti devono confrontarsi. Loro sono Ryan Stone e Matt Kowalsky – interpretati da Sandra Bullock e George Clooney – due astronauti scaraventati in una “tempesta di detriti” e costretti a vagare nell’infinità dello spazio. Sopravvivranno? Torneranno sulla Terra? È il dubbio che accompagna lo spettatore durante l’intero film, una tesa incertezza fortemente desiderata e imposta dal regista messicano Alfonso Cuaròn, noto soprattutto per I figli degli uomini (2006). Cuaròn raggiunge il suo obiettivo: come non essere irrequieti di fronte a tanta profondità (spaziale)? Tutto gira intorno a una sospensione, quella tra la Terra e lo spazio, una sorta di valore mistico. E a colmare il vuoto scenico ci pensano la sfilza di “dialoghi ruffiani” e il potere della grafica, vera protagonista del film. È lei infatti a colpire la curiosità dello spettatore in bilico tra fantasia e realtà; la cura nei minimi dettagli fa sì che quell’aspetto legato all’ignoto diventi parte di noi come se la nostra mente si proiettasse autonomamente nello spazio con gli astronauti Stone e Kowalsky. {ads1} Da una parte la grafica, tipica delle pellicole di fantascienza, dall’altra l’importanza della recitazione – che non manca mai nei film a basso budget – il tutto fuso in “scenari naturali mozzafiato”. I più esperti hanno notato un binomio audacemente curioso: la visione americana dello spazio incentrata sull’avventura (in senso stretto) e sulla lotta per la sopravvivenza accompagnato dalla presenza del cinema sovietico anni Settanta “in cui lo spazio è il posto più vicino possibile alla metafisica, terreno di visioni interiori che diventano realtà e di incontro con il sè più profondo”. Una sfida, quella tra l’essere umano e l’ignoto, durante la quale tutto può accadere. Morte, sfumature invisibili di sparizioni, sopravvivenza, slanci verso la vita. Cuaròn mette a dura prova l’essere umano.