Fiducia a Letta, vincono Colombe e democristiani

Il padre e unico leader del Pdl, che da vent’anni tiene le redini di un partito indubitabilmente personalistico, ha finito per piegare il capo di fronte all’uomo senza ‘quid’, l’ormai “diversamente berlusconiano” Alfano. La sbandierata sfiducia al governo ordinata da Berlusconi svanisce in un dietrofront che fa incassare a Letta 235 sì.

L’unico partito che nello sfaldamento del sistema politico era riuscito a mantenere una granitica unità attorno alla figura del re taumaturgo, condannato e felice, si è incrinato. Nel cosiddetto partito dell’amore si è aperta una crepa dalla quale comincia a stillare odio. La prima picconata l’ha data l’istigazione di Berlusconi alle dimissioni dei suoi ministri e al voto di sfiducia compatto contro il governo. Una scelta da condottiero che ha perso lucidità, pungolato dall’accumularsi di udienze che si trasformano in condanne e dall’imminente voto sulla sua decadenza da senatore. Le dichiarazioni di irremovibile sfiducia, che hanno animato la fazione dei leali irriducibili e hanno fatto aprire il fuoco tra i due fronti interni, si sono però risolte con un “abbiamo scherzato”. I falchi hanno dovuto cedere il passo alle colombe, attaccate con gli artigli alle poltrone e forti di una fusione che sembra riportare in vita la carcassa della Balena Bianca, che con il suo potere democristiano è riuscita nel miracolo di lasciare Silvio Berlusconi in minoranza all’interno del suo stesso partito, tanto da costringerlo a un incoerente ripensamento a un passo dal voto in Senato.

Lo strano dietrofront fa sì che lo scricchiolante governo delle larghe intese tenga inaspettatamente botta, forte di 235 e solo 70 no. Alle parole di concessa fiducia di Berlusconi, Letta si lascia scappare un «Grande!». Il cuore del premier è conquistato, ma quello di alcuni dei suoi forse è perduto. Alfano e Cicchitto, incredibilmente novelli cuor di leone, sembrano restar fermi nella volontà di dare forma alla scissione consumatasi all’interno del partito e dare un nome e un riconoscimento al troncone dei “moderati”, che contano tra le loro fila Quagliariello, Giovanardi, Lupi, Formigoni, gruppi consistenti alla Camera e al Senato.

Certo se la frattura rientrasse Berlusconi avrebbe giocato un colpo da maestro, non perdendo niente se non un altro pezzo di coerenza e credibilità, di cui a ogni mdo i suoi elettori non gli hanno mai fatto richiesta, e uscendone fasciato dall’immagine di colui che solo ha provato a battersi contro l’aumento dell’Iva al 22%. Che questo gli interessi infinitamente meno dei guai giudiziari che gli tolgono il sonno e che l’aumento dell’Iva sia stato determinato dall’abolizione dell’Imu, così come l’Imu fu a sua volta introdotta per porre rimedio alla cancellazione dell’Ici – tutte geniali promesse firmate Berlusconi – passerà in secondo piano. Così come dietro i tendoni, silente rispetto alle lotte e alle alleanze di Forza Italia, Alfaniani e Lettiani, resta la grande assente: la sinistra.

di Francesca De Leonardis

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