Martin Luther King, il sogno e la realtà

obama-lincoln-memorial«Consideriamo di per sé evidenti queste verità, che tutti gli uomini siano creati uguali, che siano stati dotati dal loro Creatore di determinati diritti inalienabili, tra i quali vi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità».
Queste le parole inaugurali dell’intervento pronunciato il 28 agosto dal Presidente Obama per commemorare la storica marcia su Washington culminata, cinquant’anni fa, con l’iconico discorso di Martin Luther King, “I have a dream”.

Il luogo è lo stesso Lincoln Memorial dove titaneggia la statua del Presidente che abolì la schiavitù negli Stati Uniti. E dove, nel 1963, confluirono oltre 250,000 manifestanti, bianchi e neri, che reclamavano per la popolazione afro – americana gli stessi diritti civili ed economici dei bianchi.

Le celebrazioni di quest’anno non contano la stessa partecipazione numerica di allora, ma restano altrettanto significative sia per l’importanza della memoria che per una riflessione sul cammino che resta ancora da percorrere per il raggiungimento di una piena uguaglianza. Ad oggi, la disoccupazione della popolazione nera rimane quasi il doppio di quella caucasica, e le statistiche sulla comunità latina sono molto simili. Come fa notare lo stesso Obama «il divario di ricchezza tra le razze non è diminuito, è aumentato», i profitti aziendali cresciuti, mente la mobilità sociale sembra sempre più un’illusione.

Il Presidente ricorda come le basi per le riforme del sistema sanitario e dell’immigrazione e la battaglia per i diritti dei gay siano state gettate anche da movimenti come la marcia su Washington, che portò all’approvazione del Civil Rights Act, la legge che bandì molte delle pratiche discriminatorie razziali, e del Voting Rights Act, la legge che conferì il diritto di voto ai cittadini neri.
La commemorazione della marcia assume una portata particolarmente significativa anche a seguito dei rigurgiti razzisti degli ultimi tempi: il Texas ha recentemente imposto che chiunque si rechi alle urne porti con sé il proprio documento d’identità, misura che sarebbe in violazione del Voting Rights Act e che perseguirebbe, in realtà, lo scopo di rendere più ostico l’accesso al voto per le minoranza nere e latine. La ratio del provvedimento risiederebbe nella timore, evocato specialmente da alcuni Stati del Sud, che possano partecipare alle votazioni molti immigrati illegali, sospetto, peraltro, non suffragato da alcuna prova sostanziale; ed è ancora forte il trauma per la morte di Trayvon Martin, il ragazzo di colore ucciso da una guardia – assolta – in quella Florida in cui è consentito ricorrere alla forza in caso di pericolo “percepito”.
Il Paese è ancora in marcia, e la strada è lunga.

Claudia Pellicano

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