La voracità di berlusconi e le intollerabili aspettative della politica

La figura di Silvio Berlusconi è vorace. Silvio Berlusconi è un uomo vorace. Ha fagocitato con l’esca del suo seducente sorriso e con la sua ipnotica e vuota eloquenza le menti di milioni di italiani, tristemente soggiogate e plagiate, totalmente in balia delle sue irrealizzabili promesse; ha costituito un esercito di fedeli a oltranza, pronti a difendere la sua signoria anche a scapito della legge e così solerti nello sfilare, privi del senso del pudore, di fronte ad un tribunale di giustizia.

Ha abbassato notevolmente il livello culturale del dibattito politico, divenuto insopportabilmente rissoso e scevro di contenuti; ha fatto credere a molti che l’arroganza è virtù se consegue dei risultati. Ci ha consegnato un Paese con una forte crisi identitaria, politica ed economica, dopo aver smascherato (e questo gli va riconosciuto come merito) la fragilità di una sinistra, quella italiana, nevrotica, sfibrata e inconcludente.

Dopo esser riuscito con guitta scaltrezza e con impudica furbizia a sfuggire ai molti processi è stato con sentenza definitiva e irrevocabile condannato per frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita a quattro anni di detenzione. In un paese normale, qualsiasi uomo politico, con un atto di piena responsabilità, si sarebbe ritirato dalla scena politica, si sarebbe presto o tardi scusato di fronte alla sua nazione del crimine commesso. Lui no. Anzi ha immediatamente, con uno dei suoi stucchevoli monologhi, tracciato una debole difesa del suo discusso operato, ribadendo di essere vittima della faziosità politica dei giudici “di sinistra”, inconsapevole di quanto sinistra sia la sua insopportabile ‘megantropia‘.
In questi giorni il dibattito politico è animato dalla eventualità di votare in senato la decadenza del suo mandato di senatore e dalla reale possibilità di estendere al capo dello stato una richiesta di grazia. Allora proprio ora è urgente chiedersi fin dove può spingersi l’azione politica. In una recente, quanto lucida intervista, rilasciata al quotidiano La Repubblica, il prof. Zagrebelsky ribadisce quanto tutto ciò fosse prevedibile; dopo che ” per anni si è andati avanti con stratagemmi più o meno scaltri: rinvii, leggine personali mascherate da generali, impedimenti e furbizie varie, tollerate colpevolmente a tutti i livelli, politici e istituzionali” è forse giunto il momento di porre un freno ai soprusi della politica e di ridimensionare il suo rapporto con la legge. “Siamo in una democrazia” -ci ricorda ancora Zagrebelsky- ” ma anche in uno stato di diritto…è venuto il momento del redde rationem: o la forza della legge o certe aspettative della politica”.

Non si può più tollerare che un plurinquisito e pluricondannato in vari gradi di giudizio assieme ai suoi prodi e ammaestrati soldati ( tra i quali si annovera l’attuale ministro Alfano) rivendichi, presumendo di essere nel giusto, l’agibilità politica negata dalle pene accessorie dell’ultima sentenza; si finirebbe così per costituzionalizzare -come scrive Gianluigi Pellegrino- “il principio che fare politica garantirebbe uno statuto privilegiato, una minore soggezione alla legge”. Si rischia di determinare un precedente dove la prepotenza di un leader politico prevale fino corrodere una già precaria etica civica.
Ma il nodo cruciale di questa triste e avvilente vicenda non è rappresentato dal suo esito che costituzionalmente sembra incontrovertibile ma da “quanto sia ancora tollerabile questo dare tutto per plausibile, l’abbandono di ogni fermezza morale, il ritenere tutto negoziabile”.

L’italia è un paese dilaniato; sbranato dalle fauci fameliche di un avido capotavola che per anni ha gozzovigliato insieme ai suoi inseparabili commensali. Ma si può ancora trovare la forza e la dignità per risparmiargli l’ultimo pasto e conservare quella fetta di giustizia che provvidenzialmente gli impedisce di continuare a distruggere ciò che inerme attende con fatica di essere ricostruito.

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