Mire russe e U.S.A. incrociano sulla Siria, è sempre più sottile la linea rossa dell’intervento.
Le armi chimiche di cui si sarebbe servito recentemente il regime integralista di Asad contro i civili siriani, si pensa siano strettamente connesse alla politica strategica statunitense come inesorabile conseguenza che condurrebbe definitivamente all’ultima ratio della guerra: l’ampliamento del conflitto sul piano internazionale. Infatti, il paventato intervento degli Stati Uniti rappresenta l’ultima mossa di una contesa tra U.S.A. e Russia sul controverso scacchiere mediorientale.
La Siria ha dato sempre grande preoccupazione all’America, rappresentando un nodo cruciale, motivo di pensiero sia per il Presidente Obama che per Putin e, in questo specifico caso internazionale, sotto attento esame del Consiglio di Sicurezza ONU e della NATO, il Presidente si è dato degli obiettivi di azione precisi che hanno come arrivo la linea rossa di demarcazione consistente nell’uso di armi di distruzione di massa, attraversata la quale precipiterà l’attacco, la fulminante “guerra lampo”.
La Russia di Putin e la Cina fanno, invece, da contrappeso internazionale per il no all’intervento negli affari interni siriani.
La realtà delle relazioni diplomatiche e geopolitiche, evidenzia un continuo contatto dell’America con le forze ribelli in Siria. Nel corso dell’anno 2012 le forze ribelli, in base ad una cernita da parte dei servizi segreti americani sono state rifornite di vari tipi di armi, tra cui veicoli anti-carro, missili e razzi da terra, in particolare dopo l’allarme dovuto alla notizia della detenzione da parte dell’Iran dell’arma atomica.
Secondo un approfondimento del Washington Post sulle linee di azione dell’Amministrazione USA in medio-oriente, da fine 2012, la CIA ha infatti creato una rete per agevolare il flusso di armi dai paesi donatori come il Qatar agli insorti, attraverso aeroporti turchi e giordani, e per identificare i soggetti a cui destinare il materiale, per un totale di 3,5 tonnellate (nel mese di marzo), avallando anche l’assalto alle basi militari del regime. Anche se la decisione formale di dare consenso alla ribellione jihadista, attraverso il piano “Clinton-Petreus“, è stata bocciata dall’Amministrazione Obama.
Il sostegno americano nel facilitare l’armamento dei civili siriani, ha riguardato forze ribelli in contrapposizione al regime familista e dittatoriale di Bashar Hafiz al-Asad, proveniente da un’area islamista integralista e, precisamente, di fede alawita (sciita), una minoranza etnica alla testa di una Siria prevalentemente sunnita. Il Paese, seppur povero in materie prime rispetto agli altri, si distingue per essere il bacino di una miscellanea politico-culturale acutamente anti-israeliana.
L’uso di armi chimiche vale come “guanto di sfida”, l’ultima mossa di un tassello che fa tremare l’intero domino della politica di influenza e infiltrazione statunitense sull’area. In attesa di disposizioni concrete da parte della comunità internazionale, l’amministrazione USA interpreta prudentemente l’accaduto come una provocazione da parte dell’Unità 450 dell’areonautica di Asad, per tastare la consistenza della linea rossa, appunto. Si tratta di un “uso su piccola scala” di difficile analisi per l’intelligence, già in ricognizione nelle cliniche di Homs per raccogliere le tracce di sostanze tossiche sui campioni di sangue delle vittime, tracce che, secondo i medici, si dileguano in brevissimo tempo.
Tolta ogni traccia di dubbio dunque, in attesa delle indagini NATO in atto, il problema è come reagire. Le dinamiche strategiche USA sono orientate ora su diversi gradi di intervento: stabilire una ‘no-fly zone’ – come in Libia – con un impegno gravoso di forze per la migliore qualità dei sistemi anti-aerei siriani rispetto a quelli di cui disponeva Gheddafi, oppure la creazione di una ‘safe zones’ con missili Patriot nel nord, fino a 50 chilometri oltre il confine con la Turchia. Passando per l’incremento di truppe nei paesi limitrofi alla Siria per addestrare i ribelli.
In ogni caso, la stima di un intervento diretto da parte degli Stati Uniti terrorizza, per mettere totalmente in sicurezza l’arsenale chimico-tossico del regime sarebbero necessari circa 75.000 uomini, stando a quanto ha rivelato il Pentagono. E in questo trova spiegazione la prudenza della linea di azione scelta dal Presidente Obama.
L’intervento si configura come un’impellente urgenza. Subito la notizia dell’impiego di armi chimiche ha fortemente esacerbato l’indignazione e alimentato la grave condanna nell’opinione pubblica globale e nella comunità internazionale tutta, scuotendo dalle fondamenta il diritto umanitario e la “coscienza del Mondo”.
Eva Del Bufalo