Il caso Ablyazov e le responsabilità degli altri
Nella notte tra il 28 e il 29 maggio 2013 Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, e la loro figlia di sei anni vengono prelevate presso la loro abitazione a Casal Palocco per essere deportate il 31 maggio verso Astana.
L’operazione parte a seguito di una richiesta dell’ambasciata kazaka, che ritiene che il dissidente del regime accusato di riciclaggio possa trovarsi a Roma, dove la famiglia risiede da otto mesi. Le motivazioni della questura di Roma alla base del blitz fanno riferimento ad una presunta pericolosità del leader dell’opposizione particolarmente sgradito al Presidente Nazarbayev.
Il capo della polizia e il Ministro Alfano dichiarano di non essere a conoscenza del fatto che Ablyazov sia un oppositore e non un comune ricercato: «Va ribadito che in nessuna fase della vicenda i funzionari hanno avuto notizia alcuna sul fatto che Ablyazov […] fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakistan e non un pericoloso ricercato per reati comuni». La questura di Roma rivendica la regolarità dell’espulsione sostenendo che la signora sia entrata in Italia «sottraendosi ai controlli di frontiera» e senza essere in possesso del visto d’ingresso. Successivi controlli confermeranno, poi, l’assoluta conformità dei documenti della Shalabayeva.
La vicenda rimane sconcertante per l’infondatezza delle ragioni che portano al sequestro, per l’irritualità della procedura con cui si perviene all’espulsione e per la millantata estraneità del Viminale. Alfano rivendica di non essere stato messo al corrente della faccenda e promette che «cadranno delle teste» – metafora interessante, che ricorda la caduta del “favori” ai tempi della monarchia. Al momento, a pagare è il capo di gabinetto del Viminale, Giuseppe Procaccini, che rassegna le dimissioni il 16 luglio, mentre si annuncia l'”avvicendamento” del prefetto Alessandro Valeri, che avrebbe comunque lasciato ad ottobre.
Lo scandalo vede il PDL compatto nel difendere il proprio Segretario, mentre Sel e il M5S presentano una mozione di sfiducia e ne chiedono a gran voce le dimissioni e il PD, si presenta, ancora una volta, lacerato al proprio interno.
Il caso solleva peraltro la questione se vi sia una contiguità tra il nostro governo e quello di Nazarbayev, capo di uno Stato dove si violano i diritti umani e si pratica abitualmente la tortura, che vanta poderose risorse energetiche e di cui si vocifera un’amicizia personale con l’ex premier Berlusconi.
Qualunque sia l’esito finale di questa vicenda, rimane sorprendente che, nel migliore degli scenari, via sia un Ministro dell’Interno all’oscuro delle iniziative intraprese all’interno del proprio Ministero.
Claudia Pellicano