Il volto autarchico della Turchia
Proseguono gli arresti e gli scontri in Turchia, nel mese di luglio sono state perquisite oltre cento abitazioni durante un’operazione antiterrorismo ad Ankara e sono circa trenta gli arresti in seguito alle proteste e manifestazioni anti-governative delle ultime settimane ad Istanbul.
La rivolta culturale e sociale della popolazione turca contro il leader Erdorgan dimostra un cambiamento degli assetti di potere interni ed esteri. Infatti la linea politica tradizionalista del Primo Ministro identificata in un neo-ottomanesimo islamista, ha suscitato le proteste di diverse classi sociali, tra cui quelle più occidentalizzate.
Il preventivo accordo di Erdogan con gli Stati Uniti, volto al perseguimento di interessi reciproci mirava al rafforzamento dell’economia turca e del ruolo geopolitico preminente di questo Stato nell’area Mediterranea dell’Europa.
Fin dal 2005, quando la Turchia è stata candidata per l’ingresso nell’area europea, si sono verificati grandi cambiamenti nelle politiche interne al Paese e nei suoi rapporti con l’estero, un percorso accidentato e difficoltoso per le peculiarità storiche di arretratezza e per gli ideali integralisti della classe dominante, poiché rappresenta uno snodo cruciale degli interessi occidentali in medio-oriente. Opposte spinte di evoluzione e attaccamento alla tradizione, di apertura e chiusura politica e sociale, hanno alimentato nel tempo storiche divisioni, tra partiti, di classe e negli orientamenti prevalenti. Ma è sopratutto l’adattamento alle politiche europeiste che ha stentato ad affermarsi, proprio per le grandi difficoltà interne e per il disegno totalitario perpetrato dal Leader e dal suo entourage, il quale rivendica da sempre un ruolo più indipendente dalle scelte di Washington, vicine e legate a quelle di Israele. Erdorgan, accentrando il suo potere è riuscito, comunque, con l’appoggio dell’occidente a far avanzare l’economia della Turchia, entrata a far parte in pochi decenni del G20.
In ambito internazionale si teme che la recente mobilitazione e l’azione di rivolta e resistenza per una maggiore partecipazione popolare, possano modificare l’approccio politico di Ankara all’allargamento europeo nell’area mediorientale. Il punto di rottura con l’occidente è esplicito nelle dichiarazioni di Erdorgan degli ultimi giorni, ovvero un’opposizione all’uso di carte di credito, incitando appunto la gente a chiuderle come protesta contro le “lobby dei tassi d’interesse”, d’altro canto, però, continua la repressione autoritaria della rivolta popolare, segni questi di una volontà accentratrice, un controllo sempre più stretto anche grazie alle forze dell’ordine, proprio nel momento in cui questo potere è minacciato dal cambiamento culturale.
Positiva in questo senso la decisione del Parlamento turco di modificare l’articolo 35 del Codice interno del servizio militare che avallava e giustificava il golpe militare, fondamento implicito di ben quattro negli ultimi cinque decenni. L’esercito turco garante laico dello Stato viene così ridimensionato nel suo potere, ma solo sulla Carta, perché il suo pugno di ferro, mosso con grande violenza per le recenti repressioni, ancora incombe come monito di una nuova autarchia.
di Eva Del Bufalo