Il “flop” grammaticale dell’Auditorium Parco della Musica
È possibile che un grande spazio dedicato all’arte, alla musica e allo spettacolo in una città grande e importante come Roma, possa perdere colpi con degli errori, o meglio dire orrori, che colpiscono l’occhio degli spettatori? Ebbene sì, può accadere. Ecco, quindi, l’Auditorium Parco della Musica, che ha festeggiato quest’anno il suo decennale con un weekend pieno di eventi gratis, da una prospettiva che forse non avete mai visto.
Progettato dall’architetto italiano Renzo Piano, il complesso è formato da tre sale da concerto, coperte da lastre di piombo che circondano lo spazio aperto, la cavea, dove d’estate si svolgono grandi concerti, con una capienza di circa 3.000 spettatori. Infatti, proprio in questo mese, come ogni anno è possibile partecipare al Festival Luglio suona bene, dove si alternano sul palco grandi artisti italiani e internazionali. L’Auditorium è visitato non solo dai nostri connazionali, ma è un punto di incontro e di cultura anche per gli stranieri. Una volta entranti all’interno della struttura, è possibile fare una passeggiata con la testa alta e gli occhi al cielo e leggere le molteplici scritte che si trovano al di sopra del corridoio. Parliamo di tubi di luce colorata con le quali sono state formate frasi di canzoni, poesie e non solo, dedicate alla musica e all’arte: “Di che cosa stiamo parlando quando parliamo di arte”, “Imagine all the people living life in peace”, “Rombi tuoni sbuffi boati strilli fischi sibili bisbigli”, giusto per citarne alcune. Davvero un’idea originale, dato che si alternano molteplici lingue, quali inglese, francese, spagnolo, tedesco. Ma è qui che casca l’asino. Se si legge con un po’ più di attenzione, anche se gli errori saltano subito all’occhio, ci si rende facilmente conto di alcune “sviste” grammaticali degne di lode. Giusto per non perdere di credibilità, non è arrivato il momento, dopo dieci anni, di fare un giro di controllo? {ads1} Partiamo dalla nostra lingua madre. Ci siamo affidati a Platone e ai suoi pensieri filosofici: “La musica è una legge morale: essa dà anima all’universo, ali al pensiero, slancio all’immaginazione, fascino alla tristezza, impulso alla gioia e vita a tutte le cose. Essa è l’essenza dell’ordine, ed eleva ciò che è buono, giusto e bello, di cui è la forma invisibile ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna”. Ovviamente tutta non si poteva riportare ed è stata estrapolata questa frase: la musica dà anima all’universo e ali all’immaginazione. Mettendo da parte la pignoleria, diamo spazio alla grammatica italiana. “Da” non ha l’accento. Sarebbe buono, a questo punto, ricordare la differenza tra il verbo e la proposizione semplice. Citando la Treccani: “La terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo dare è dà, con l’accento obbligatorio. Questa forma verbale fa parte di una doppia serie di monosillabi (parole formate da una sola sillaba) che si scriverebbero nello stesso modo (sarebbero cioè omografi), avendo però significati del tutto differenti. Proprio per evitare possibili confusioni, interviene l’accentazione su un membro della coppia”.
Andando avanti, passiamo a una lingua apparentemente simile alla nostra, la lingua spagnola: las variaciones de sonidos y colores nunca tiene fin. Di nuovo la grammatica non è giusta. Qui si sta parlando di variazioni di suoni e colori, con tanto di “s” finali e di plurali. Peccato che il verbo è coniugato alla terza persona singolare, mentre qui ci vorrebbe una terza persona plurale, passando dal “tiene” al “tienen”.
Proprio perché non c’è due senza tre, si passa dallo spagnolo al francese: ecrire l’instant dans l’infini et l’infini dans l’instant. Niente da fare, gli accenti non sono il loro forte. Anche qui bisogna fare un ripasso delle regole di base del francese, che con gli accenti ha un bel da fare. La parola écrire vuole l’accento acuto, cosa che qui manca. Quando la frase è scritta in stampatello maiuscolo, l’accento si può omettere, ma solo se è un titolo, altrimenti è comunque obbligatorio. Qui, volendo, possiamo dare il beneficio del dubbio poiché non siamo riusciti a risalire alla fonte della citazione, ma tutto sembra meno che un titolo.
Per finire, può saltare all’occhio anche una frase inglese: all peoples have always had their own music, perché quella “s” con people stona proprio, però qui è giusto ricordare che la parola, in lingua inglese, così scritta esiste, e certamente non è il plurale di people, attenzione!