IL LICENZIAMENTO PER SCARSO RENDIMENTO
In data 12 giugno 2013 la Suprema Corte, con la sentenza n. 14758, si è espressa circa la legittimità di un licenziamento intimato ad un lavoratore per scarso rendimento.
Il caso di specie riguarda una Società cooperativa la quale vedeva dichiararsi dalla Corte di Appello competente, in riforma alla sentenza di primo grado, l’illegittimità del licenziamento comminato
ad un ex lavoratore, ordinando la conseguente reintegra nel posto di lavoro e condannando altresì la Società al pagamento delle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione, con gli accessori di legge.
Nella sentenza di secondo grado la Corte osservava che così come osservato dal giudice di primo grado, era stato disposto per scarso rendimento ai sensi dell’art. 27 R.D. n. 148 del 1931, e non già per motivi disciplinari, come era dimostrato dal fatto che, nel settore trasporti, il licenziamento per scarso rendimento era regolato in un capo diverso da quello disciplinare e che tuttavia non era condivisibile l’assunto del Tribunale, secondo cui il recesso fosse giustificato.
Infatti, sempre secondo il Giudice di II grado, non ricorreva nella specie una evidente violazione della diligente collaborazione richiesta al dipendente, atteso che delle dodici condotte contestate al lavoratore, asseritamente dimostrative dello scarso rendimento, alcune non avevano avuto incidenza sul regolare svolgimento delle mansioni di autista ad egli affidategli, né tantomeno sul suo rendimento.
La Società Cooperativa dunque proponeva ricorso in Cassazione, la quale, dopo aver premesso che “il rapporto di lavoro degli autoferrotranviari è disciplinato da una normativa speciale” evidenzia gli elementi che integrerebbero lo scarso rendimento, precisando che esso “ricorre indipendentemente dalla gravità colpa, atteso che l’inosservanza di norme comportamentali rileva, nell’adozione del provvedimento, non già di per sé ma piuttosto quale fattore causale dello scarso rendimento”.
Non è affatto necessario dunque che ricorra un notevole inadempimento del lavoratore, assumendo rilievo primario la valutazione complessiva della prestazione resa in relazione all’esigenza di assicurare il regolare svolgimento del servizio pubblico di trasporto.
La Cassazione rammenta altresì come il suo giudizio sia di mera legittimità e che, essendo il ragionamento del giudice del merito valutato come privo di illogicità e di difetto di motivazione, essa Corte non possa sindacare il merito della decisione, ciò in quanto “”La valutazione della gravità della condotta posta in essere dal lavoratore ai fini della sussistenza dell’ipotesi dello scarso rendimento costituisce un giudizio di fatto devoluto al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria”.