I paradossi dell’identità umana vanno in scena al Centrale Preneste Teatro
Al Centrale Preneste Teatro, spazio teatrale del VI Municipio di Roma, è andato in scena InFest, il festival di Teatro, Musica e Danza. Tre giornate dense di appuntamenti, con l’esordio del monologo Strategia per due prosciutti messo in scena da Padiglione Ludwig. Largo anche a seriose riflessioni culturali, come quelle di Mattone dopo mattone, amara realizzazione di quanto il traffico e la frenesia moderna stiano determinando le nostre vite.
Uno dei momenti più particolari è stato però quello di Unu comu a Pippino, un omaggio non omaggio alla figura di Giuseppe Impastato detto Peppino, giornalista, conduttore radiofonico e attivista, da sempre schierato contro la mafia nonostante la sua famiglia sia stata fucina di rappresentanze terroristiche.
Una piece che riesce a mescolare in maniera arbitraria dialetto siciliano e perfetto italiano, musiche di tradizione con masterpiece del rock internazionale, sobria eleganza descrittiva a momenti di effervescente illogicità. E’ chiaro fin dall’inizio il tentativo di soggettivizzare la poliedrica figura di Peppino, dando in pasto agli spettatori una personalissima reinterpretazione della sua vita, dei suoi gesti e delle satiriche invettive lanciate dalla sua trasmissione Radio Aut. Inutile quindi soffermarsi su un eventuale contributo informativo sulla vita del dissidente Impastato, poiché non vi si ritroverà alcuna traccia. L’opera è più un poliedrico elogio della sicilianità, quella verace, nascosta dietro gli stereotipi di omertà e paura. Il racconto è un dinamico scorrere di situazioni paradossali e interviste eccellenti, come quella rilasciata dall’anfetaminico MMD: Matteo Messina Denaro. Uno sberleffo a colui che oggi occupa la quarta posizione tra i latitanti più pericolosi del mondo, esponente di spicco dell’ala stragista di Cosa Nostra nonché passaggio obbligato dei commerci di stupefacenti tra le Americhe e l’Europa. L’anfetaminico MMD non è però disposto a parlare, e l’intervista si trasforma ben presto in un monologo in cui ad un tragico elenco delle più efferate barbarie si uniscono curiosi aneddoti biografici sull’ascesa dell’uomo ai vertici dell’organizzazione mafiosa. L’evoluzione dello spettacolo, così come la sua singolare conclusione, è un vorticoso crescendo di caricature, richiami ai suoi discorsi radiofonici e improbabili incontri, il tutto volto forse a disorientare l’ignaro spettatore, il quale sprofonda in un’inadeguatezza interpretativa, dovuta alle poche informazioni che ha della figura di Peppino Impastato (derivanti quasi esclusivamente dal celebre film I Cento Passi di Marco Tullio Giordana). La verità però è che se a unire lo spettatore e l’attore/autore Gaspare Balsamo sia il comune sdegno per l’omertà di stampo mafioso, a dividerli sono molto più dei cento passi che intercorrevano tra la casa di Impastato e quella del boss Gaetano Badalamenti.