La trilogia sulla disumanizzazione continua al Piccolo di Pietralata
Il Piccolo di Pietralata è uno spazio scenico nascosto tra le alte costruzioni dell’omonimo viale. Uno scrigno dove l’arte viene portata alla sua più feconda sperimentazione e i limiti creativi non sembrano avere confini. Nel variegato cartellone stagionale ha trovato posto anche La capitale del dolore, secondo capitolo della trilogia sulla Disumanizzazione prodotto dall’ensemble Natacha von Braun e diretto da Antonio Sinisi.
Richiamando funesti panorami orwelliani e ispirandosi al film di Jean-Luc Godard Agente Lemmy Caution missione Alphaville, lo spettacolo è una ricerca del lato umano e della compassione in un futuro dove ormai la dignità individuale non ha più alcun valore. La capitale del dolore è un esempio apparentemente efficiente di convivenza post-moderna. Il giornalista Ed Marfan (Simone Di Pascasio), proveniente dai paesi esterni, è in missione per indagare sulla scomparsa di alcuni suoi amici. Ad accoglierlo una donna cyborg, Susi Susha (Elisa Turco Liveri), incaricata di accompagnarlo all’interno del futuristico tessuto urbano.
Particolarità del testo è la sua illogicità dialogica, caratterizzata da una continua rinegoziazione di senso dietro i gesti. Ne viene fuori un lavoro estremamente fisico, dove ad una superficiale caratterizzazione dei personaggi principali si contrappone una estenuante interazione continua, ora verbale ora mediante oggetti o precisi rituali scenici che richiamano i temi della prigione e della tortura, nonché della perdita di controllo.
Il risultato scenico però, sebbene efficace nel sorprendere lo spettatore, lascia molti dubbi sugli eventuali intenti comunicativi dell’opera. Se, come in Alphaville, lo scopo era di far riflettere su quanto deleteri siano certi contesti urbani evidenziandone la tendenza disumanizzante, non è mescolando frasi e riferimenti semantici che si ottiene una nitida denuncia di tale devianza. Passi la voglia di sperimentare nuovi linguaggi, passi anche l’abbraccio simbolico al teatro dell’assurdo, ma La capitale del dolore chiede troppo a coloro che, per una sera, hanno scelto di diventarne cittadini.
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