Il paradiso dei lettori innamorati, il nuovo libro di Antonio Monda
Il paradiso dei lettori innamorati, l’ultimo libro di Antonio Monda, raccoglie venti conversazioni con grandi scrittori sui film amati o detestati e sull’impatto che essi hanno avuto sulla loro vite. Il titolo parafrasa ciò che lo scrittore premio Nobel Isaac Bashevis Singer diceva a proposito della letteratura: “Non c’è paradiso per un lettore annoiato”, a significare che un’opera d’arte può assolvere a diverse funzioni, ma non può mai annoiare.
Monda investiga sul rapporto e le possibili compenetrazioni tra cinema e letteratura, chiedendo ai suoi interlocutori di fare una scelta tra i titoli che li hanno maggiormente segnati sia sul piano emotivo che intellettuale, e di raccontarne il perché. Tra le scelte più ricorrenti troviamo capolavori come Il padrino, Barry Lyndon, Toro scatenato, Quel pomeriggio di un giorno da cani, Viale del tramonto, e Io e Annie, che contiene una scena esemplificativa dello spirito che permea queste conversazioni: Woody Allen è in fila al botteghino di un cinema e dietro di lui si trova un professore universitario spocchioso e malato di passatismo che pontifica su alcune opere cinematografiche; ad un certo punto Allen, esasperato, chiama in causa il sociologo Marshall McLuhan in persona che stronca le interpretazioni dell’accademico. Uno dei leitmotiv delle interviste è proprio l’insofferenza verso un certo snobismo, verso l’atteggiamento pretenzioso e intellettualmente complessato di chi vorrebbe il cinema in soggezione della letteratura. Trovano, invece, pieno riconoscimento il fatto che alcune storie possano essere rese solo dall’immediatezza delle immagini e che il pubblico cinematografico possa, a volte, rivelarsi più educato e sofisticato di quello letterario. Colpisce la schiettezza con cui alcuni autori demistificano, forse come reazione ad un’eccessiva celebrazione, un certo cinema francese e cineasti come Godard e Rohmer. Rinfrancano le parole di Jonathan Lethem, che divide i film semplicemente in “belli” e “brutti” e di DeLillo, secondo cui “Il cinema è un’arte con la quale è necessario confrontarsi senza supponenza […] è importante essere consapevoli del fatto che ci sono cose ed emozioni che le parole esprimono con maggiore efficacia ma altre che possono trovare la propria compiutezza solo sullo schermo. Non appartengo a quella categoria di scrittori che considerano superiore la letteratura”. Un esempio per tutti è la visione di John Wayne a cavallo nei film di Ford: un’immagine iconica che difficilmente potrebbe trovare la stessa forza sulla pagina scritta.
Gli scrittori rivendicano una prerogativa che è poi quella dell’arte: la libertà. E lo fanno confrontandosi con un mezzo espressivo dove non esiste nulla di definitivamente consacrato, non autori o opere intoccabili, ma storie che possono segnarci e che possiamo ugualmente amare e odiare perché parlano a noi, ma, soprattutto, perché parlano di noi e della nostra vita. Senza i momenti di noia.