La Capitale del Dolore: intervista al regista Antonio Sinisi
Dal 22 al 24 marzo al Piccolo di Pietralata è in scena lo spettacolo La Capitale del Dolore di Antonio Sinisi con gli attori Elisa Turco Liveri e Simone Di Pascasio. È la storia dell’agente Ed Marfan, proveniente dai paesi esterni, in missione a Badenurbe per indagare sulla scomparsa di alcuni suoi amici. Ad accoglierlo una donna (oppure un individuo modificato), Susi Susha, che lo scorterà all’interno del meccanismo urbano. Abbiamo incontrato il regista, Antonio Sinisi, per farci raccontare un po’ di più su questa nuova produzione della compagnia natacha von braun.
Lo spettacolo è ispirato ad Alphaville di Jean-Luc Godard. Come nasce l’idea di portare in teatro questo film?
Ispirarsi a un film e oltretutto a un film come Alphaville ci dà una certezza: il lavoro in uno spazio teatrale (quasi nudo) non sarà mai uguale o simile al film. Alphaville è solo un punto di partenza. L’arrivo è cercare di evolverlo. Avendo dei paletti il nostro lavoro è quello di domandarci se starci dentro oppure valicarli. Del film ho adorato le irriverenze al cinema convenzionale di quel tempo. Il primo paletto dunque erano le non convenzionalità che a teatro bloccano il “noi stessi in scena”. Sono convinto che “noi stessi” siamo più forti di un pezzo di carta e di una pellicola.
Spiegaci un po’ il titolo… Perché la Capitale del Dolore?
Il titolo del nostro lavoro è tante cose. È la citazione del libro di Paul Eluard che ha ispirato parte del testo che Godard ha inserito nel film. La Capitale del Dolore è la nostra vita e le nostre città in questo tempo. Città sempre più grandi e sempre più belle da lontano, sempre meno vivibili da vicino. Il dolore è la normalità, l’appiattimento. La consapevolezza di essere impotenti di fronte alle barriere alle quali siamo costretti, ma che costruiamo noi stessi.
E poi è interessante, col titolo, dare un riferimento allo spazio, nel nostro caso, scenico. Lo spazio è praticamente vuoto. Tutta la messa in scena si tiene sulle figure (gli attori). Il che contrasta con l’immaginare una cosa gigante e piena come una grande città.
La Capitale del Dolore è una “macchina curiosa” per dirla alla Kafka, uno strumento di tortura e di prigionia. Se ne può uscire?
L’agente Ed Marfan, che proviene dai paesi esterni, viene accolto da uno strano essere, Susi Susha. Che rapporto c’è tra i due e come possono due esseri così diversi interagire fra loro?
Ed e Susi come Simone e Elisa hanno un punto in comune: sono fatti di carne. Posso ben definire il loro rapporto in scena “animalesco”. Le loro interazioni sono dettate semplicemente dallo sguardo e dal movimento nello spazio di queste carni. Non credo che si possa parlare di psicologia dei personaggi. Non abbiamo lavorato sulla costruzione di personaggi ma sulla costruzione di figure in uno spazio. L’impulso della figura è il corpo e di conseguenza le interazioni sono fisiche.
Come hai impostato il lavoro con gli attori?
Il lavoro con gli attori, che ormai uso definire figure in scena, si basa sul ritmo, quindi sulla ricerca di una partitura fisica e vocale che sia unica per tutta l’opera, che abbia come in una sinfonia variazioni e cambi, pause e respiri e sulla plasticità dei corpi. La cosa che mi interessa del lavoro con Elisa e Simone è lavorare con le loro contraddizioni, con le loro incertezze. L’attore si rifugia spesso su ciò che sa che funziona, il mio lavoro è cercare di stuzzicare il nascosto che c’è in loro, che a mio modo di vedere, è ciò che va mostrato in una messa in scena. Allo stesso tempo ho cercato, anch’io, di abbandonarmi alle loro suggestioni, alle loro richieste. Non so se ci sono riuscito ma ho tentato di eliminare la verticalità che ci poteva essere tra noi. Non ho dettato delle regole invalicabili, ma ho proposto delle tracce che potevano essere evolute e percorse da loro.
Quali sono i prossimi progetti della compagnia natacha von braun?
La Capitale del Dolore è il secondo lavoro dopo Kullus sulla Disumanizzazione. Ne seguirà un terzo che comporrà una Trilogia. natacha von braun è un nome comune in questa disumanizzazione (tra le altre cose è il nome del personaggio che interpretava Anna Karina in Alphaville!). Nasce come rete, non propriamente come compagnia infatti è un ensemble d’espressioni. In futuro mi auguro che si occupi non solo di teatro, ma di tutte le espressioni in genere. È ovvio che il passo prima di fare rete è quello di fare messe in scena.