David Bowie: il giorno dopo del Duca

davi2Dieci anni di silenzio, sessantasei anni appena compiuti, una vita che farebbe gola a ogni sceneggiatore e soprattutto un nuovo disco, il suo ventisettesimo in quarantasei anni di continua mutazione. David Bowie è tornato con il suo nuovo lavoro The Next Day.

Dieci anni di silenzio, sessantasei appena compiuti, una vita che farebbe gola ad ogni sceneggiatore e soprattutto un nuovo disco, il suo ventisettesimo in quarantasei anni di continua mutazione. David Bowie è tornato con il suo nuovo lavoro: The Next Day.

Dunque, da dove cominciamo? Cominciamo proprio dai sessantuno minuti di The next day, anticipato dall’uscita del singolo Where are we now, che nelle sue diciassette tracce ci restituisce il duca bianco in tutte le sue sfaccettature. Inaspettata freschezza e una rinnovata creatività avvolgono quest’opera fortemente voluta a tal punto che Bowie ha radunato i partner che hanno condiviso con lui i maggiori successi della sua immensa discografia, a cominciare dal produttore Tony Visconti. Proprio Visconti ci introduce nel sound del nuovo album, la cui gestazione risale al lontano 2011: “abbiamo lavorato per due anni ad ascoltare tracce su tracce, e una volta decisa la tracklist abbiamo registrato l’album in tre mesi”. Bowie (che ha categoricamente smentito un tour imminente) ha voluto al suo fianco i musicisti che hanno lavorato con lui in passato fra cui Earl Slick alla chitarra, Gail Ann Dorsey al basso e Sterling Campbell alla batteria, e il risultato finale è decisamente rock.

A differenza dei dischi dei primi anni del duemila, alquanto discontinui, l’aria che si respira in “The Next Day” è quella di un Bowie ritrovato e rigenerato, che scompone e ricompone il suo repertorio a partire dal pezzo di apertura (la title-track The next day) che rispolvera le sezioni ritmiche della trilogia berlinese con le chitarre Frippiane di Heroes”. Con una partenza del genere gli scettici saranno già ammutoliti e riportati all’ovile, paracadutati verso una dimensione che credevano di aver smarrito.

I Sax decadenti di Dirty Boys, in omaggio ai baccanali con Iggy Pop e i due singoli estratti in anteprima ci spingono verso altre direzioni. Alla ballata introspettiva di “Where are we now” ennesimo omaggio alla Berlino che lo accolse in piena crisi alla fine dei “seventies” facendolo rinascere, fa da contraltare il suono epico di The stars (are out tonight), con tanto di clip minifilm tra il thriller e l’horror dove il “nostro” duetta con Tilda Swinton perfetta icona della diva glaciale anti-mainstream. Love is lost indaga sulla disperazione della perdita di un amore con tanto di organo enfatizzante, ma non finisce qui. Il pop torna prepotente con Valentine’s day, le pulsioni drum’n bass riecheggiano in If you can see me, e la psichedelica pura si riaffaccia in I’d rather be High lasciando l’ascoltatore in un vortice senza soluzione di continuità. Ancora il sassofono riecheggia caldamente in Boss of me, mentre in  Dancing out in space emerge il lato kitsch del Duca con tanto di ritornello e chitarra che rimangono impressi al primo impatto.

Ci si avvia verso la fine con la ballata swing-pop con tanto di falsetto di How Doest the grass grow per scivolare in un attimo nelle chitarre hard rock di (You will) Set the world on fire, fino alla malinconica You feel so lonely you could die commiato del genio che con chitarra acustica, coro e archi si addentra nella sua visione della morte. Degno finale con Heat inquietante cupa preghiera in cui l’artista chiede a se stesso chi sia veramente. A completare il tutto altri tre bonus tracks presenti nell’edizione deluxe e una copertina che non lascia indifferenti: è una versione riadattata della cover di Heroes il cui oscuramento simboleggia una cancellazione, più o meno consapevole, del passato. Disco imperdibile: chi cerca il Bowie classico lo troverà,  chi cerca il Bowie innovativo e proiettato nel futuro troverà anche questo, nell’attesa che la sua prossima mossa ci proietti verso nuove altre dimensioni.

 

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