I sindacati contro l’Ilva

E’ iniziato il confronto tra l’Ilva e i sindacati sulla richiesta di cassa integrazione per ristrutturazione dell’azienda. Particolarmente penalizzati risulterebbero gli operai tarantini, pertanto i sindacati, prima di firmare il piano di risanamento dell’industria, esigono chiarimenti.

‘Cifre esorbitanti’, così i sindacati e i cittadini hanno commentato la richiesta di cassa di integrazione presentata dallo stabilimento siderurgico di Taranto. L’Ilva ha presentato ieri ai sindacati il piano di ristrutturazione dell’azienda, un piano che, almeno nella prima fase, lascerà senza lavoro 4.444 addetti per arrivare a 6.417 nel secondo semestre del 2014 con la chiusura dell’altoforno 5. La cassa integrazione partirà il prossimo 3 marzo e avrà una durata di 24 mesi.

All’annuncio della richiesta, i sindacati non sono rimasti indifferenti: in particolare Antonio Talò, segretario provinciale della Uilm, ha affermato che su questi numeri la sua organizzazione non apporrà la propria firma di consenso anche perché è evidente la volontà dell’Ilva di far pagare ai lavoratori l’ambientalizzazione dell’azienda. Anche Rocco Palombella, segretario nazionale della Uilm, sembra preoccupato dei numeri «gravi e drammatici» ma aggiunge una nota di ottimismo sottolineando che l’organizzazione cercherà di utilizzare tutti gli strumenti a disposizione: formazione, rotazione e, dove possibile, i contratti di solidarietà.
Non appare convinto invece riguardo i numeri forniti dall’Ilva, Mimmo Panarelli, segretario provinciale Fim-Cisl, il quale crede che  «I numeri proposti dall’azienda sono di gran lunga superiori rispetto al necessario, almeno di 1500».  Secondo Panarelli, insomma, con il fermo già in atto degli attuali impianti (batterie 3, 4, 5 e 6, l’altoforno 1, la colata continua 1 dell’acciaieria, il  treno nastri 1 per la messa a norma degli impianti) la cifra «doveva rimanere ferma a circa 3000 casse integrazioni, almeno prima che scatti a luglio 2014 il fermo  dell’altoforno 5». Inoltre, per quanto riguarda gli impianti dell’area a freddo, il segretario provinciale Fim-Cisl ha rilevato un’evidente salvaguardia degli stabilimenti di Novi Ligure e Genova e una forte penalizzazione per Taranto. Saranno questi alcuni degli aspetti sui quali i sindacati chiederanno ulteriori chiarimenti nell’incontro che si terrà giovedì al ministero del Lavoro a Roma. Tale confronto dovrà essere finalizzato a ridurre al minimo il ricorso alla cassa integrazione, attraverso la presentazione di un piano di formazione e  rotazione degli operai che possa impiegarli anche nel risanamento degli impianti evitando questa drastica penalizzazione.

Nel piano di ristrutturazione l’Ilva ha indicato anche i costi degli interventi di risanamento della fabbrica indicati nell’Aia. Si tratta di 2 miliardi e 250 milioni di euro che serviranno all’adeguamento degli impianti. In tal modo l’Ilva dovrebbe arrivare a produrre 10mila tonnellate al giorno rispetto alle attuali 18mila. Se fino ad ora, dunque, il ricorso alla cassa integrazione sembra necessario non solo per gli operai di Tarano ma anche per quelli di Novi Ligure, Pratica di Mare e del Centro servizi di Torino, «una volta adempiute le prescrizioni Aia – rassicura l’azienda – si dovrebbe tornare agli abituali livelli produttivi, richiamando in attività tutto il personale sospeso».

di Lucia Francesca Trisolini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *