Richard Ginori, l’Italia racconta la fine di un’epoca
Ha creato in 277 anni un marchio così distintivo da incantare in una sola volta tutti e cinque i continenti. La storia Ginori circumnaviga l’Italia dal 1735, la mette sul piedistallo e nessun tentativo concorrenziale riesce di fatto ad impensierire una produzione che stringe un patto a vita con l’arte.
Belle e commoventi le sue creazioni, pezzi unici che raccontano attraverso il design la storia dell’Italia, quella più autentica. Ginori entra in scena sul più bello, per quell’evento d’eccezione quando si vuole stupire, si estrae dalla credenza, si lustra un pò e al resto pensa lui.
Alle porte del 1900 l’azienda stringe un sodalizio con Augusto Richard, e negli anni 20′ la direzione artistica ha un solo nome: Gio Ponti. Cresce il made in Italy e spopola, avvalendosi di quell’estro ricercatissimo in connubio con le nuove tecniche che velocizzano la produzione. E’ un’ascesa felice, un ingranaggio perfetto che non chiede nulla all’estero, che profuma di tradizione collaudata, attenta ad ogni esigenza.
Poi, nel 1970 accade qualcosa e l’azienda entra sotto il controllo di Michele Sindona, quel banchiere Sindona. 210 anni di lavoro, intuizione e produttività iniziano a conoscere un lento declino che la scardinano pezzo per pezzo. Una serie di incontri tragici la attendono per divorarla. La Finanziaria Sviluppo ringrazia e cede il posto alla Liquigas, che risponde al nome di un tal Raffaele Ursini e che la attraversa ben bene durante l’altra metà degli anni ’70. Poi Ursini fugge in Sud America, quindi l’azienda passa ad un altro signore Salvatore Ligresti. L’ormai Pozzi-Ginori, rintronata e confusa, viene frazionata e quello che rappresenta uno tra i nomi storici dell’industria italiana diviene nel 1993 una didascalia del gruppo Bormioli. La parola d’ordine è abbattimento costi, ragione per cui l’Italia chiama l’estero, tutto si sgretola, il basso costo non può tenere alte le aspettative. Poi, quel che resta dell’azienda naufraga sino al 2012. Nel maggio dello scorso anno i debiti superano 40 milioni di euro e il 1° agosto oltre 300 dipendenti vengono messi in cassa integrazione.
L’8 gennaio scorso il tribunale di Firenze chiude una pagina importantissima della storia italiana che ci rappresenta in pieno: l’intuizione geniale mista ad un estro che non regge confronti è in grado di creare l’eccellenza, e alla stessa maniera, di distruggerla.