Fine dell’anno al Teatro Quirino tra miseria e nobiltà

La scena degli spaghetti nel film Miseria e nobiltà, aggiunta da Totò quale elogio massimo dell’opera in tre atti scritta da Eduardo Scarpetta in dialetto napoletano, può essere ritenuta come uno dei migliori colpi di sceneggiatura della cinematografia italiana. Numerose versioni dell’opera si sono poi susseguite, più o meno influenzate dal genio di Antonio De Curtis, fino all’adattamento di Geppy Gleijeses, in scena dal 26 dicembre 2012 al 20 gennaio 2013 al Teatro Quirino.

Lello Arena, perfettamente a suo agio nella parte di Pasquale ‘o Salassatore, ne detta i tempi scenici e le coloriture dialettali, lasciando però a ognuno dei presenti la possibilità di godere del riconosciuto capolavoro teatrale. Sarà forse per tale convinta dedizione al testo che la scenografia viene quasi completamente trascurata lungo tutta la prima parte. Una semplice grata attraverso cui passa un filo di luce artificialmente ricostruito. Poi corde, pannelli e grigie pareti del teatro a fare da sfondo: se non è miseria questa…
Al centro della scena un tavolo, vuoto, e tanta fame attorno: Felice Sciosciammocca (Geppy Gleijeses), la compagna Luisella (Marianella Bargigli), il piccolo Peppeniello (Francesco De Rosa), donna Concetta (Gina Perna) e Pupella (Antonietta D’Angelo), incapaci di guadagnare quei pochi spicci che servirebbero per tirare avanti e liberarsi una volta per tutte del padrone di casa Giacchino (Antonio Ferrante), il quale continua a rivendicare le sue cinque mensilità arretrate.
La situazione è disperata, quand’ecco che un nobile bagliore irrompe nella misera e polverosa vita dei protagonisti: è il marchesino Eugenio (Jacopo Costantini), il quale chiede ai compari di povertà di dargli una mano: fingersi suoi aristocratici parenti così da permettergli di ottenere la mano dell’amata Gemma (Silvia Zora) e convolare presto a nozze.

La farsa è presto organizzata nella sontuosa residenza di  Don Gaetano (Gigi De Luca), padre di Gemma ed ex cuoco, divenuto ricco grazie ad un’eredità  lasciatagli dal suo padrone. Anche la scenografia cambia assieme al contesto: lunghi drappi ricamati delineano lo sfarzo di una magione ottocentesca, con tanto di finestrone da cui ammirare le meraviglie della natura.
Un contrasto visivo che ricalca la dicotomica essenza dell’opera. Un adattamento teatrale che preferisce però sovrapporsi quale copia carbone al film di Mario Mattoli anziché osare nella trasposizione teatrale, evitando fin quasi alla fine ogni interscambio che vada oltre la quarta parete del palcoscenico. Ma la commedia napoletana è anche giocare col proprio pubblico, interagire al fine di stimolare quella fragorosa risata che, nonostante l’indiscusso talento degli attori principali (a parte un incomprensibile Francesco De Rosa), non riesce mai a sbocciare in platea. Che la versione cinematografica abbia ancora molto da insegnare è fuor di dubbio, che l’adattamento teatrale di Gleijeses possa regalarvi nient’altro che due ore di soffusa spensieratezza è altrettanto probabile.

Per ulteriori informazioni www.teatroquirino.it

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