Intervista: sette domande a Rossana Campo. Scrittora
Mettiamo subito le cose in chiaro, a me l’ultimo libro di Rossana Campo mi ha emozionato. E non perché anch’io pratico la stessa scuola di Buddismo. È mio costume dire pane al pane e vino al vino e qualora non mi fosse piaciuto l’avrei scritto chiaro e tondo. Detto questo, la Campo ci sa fare.
Sono convinto che arriverà dritto al cuore del lettore, buddista e non. Siamo sulla stessa barca, non lasciamoci affondare please. Il primo libro della Scrittora, come ama definirsi, In principio erano le mutande, è stato un debutto con i fiocchi. Ci hanno fatto un film. Regia di Anna Negri. Con, tra gli altri, Stefania Rocca, Monica Scattini, Massimo Sarchielli.
Rossana Campo ha scritto una cifra, non è pigra come il sottoscritto. Ecco alcuni titoli, non in ordine cronologico: Mai sentita così bene, L’attore americano, Lezioni di arabo, Più forte di me, Duro come l’amore.
E l’ultima sua fatica letteraria, Felice per quello che sei, libro pubblicato dall’editore Giulio Perrone, mi ha letteralmente conquistato non solo per l’argomento trattato ma soprattutto perché scritto con maestria e leggerezza.
Complimenti. Tra l’altro il libro è alla quarta ristampa in tre settimane, non male.
Andiamo subito al sodo. Per dirla con il titolo del tuo ultimo libro, quando hai realizzato che è meglio, molto meglio essere felici per quello che siamo?
Dopo vari anni di conflitti, guerre e guerriglie contro me stessa, a un certo punto è scattato qualcosa, da una parte credo di avere approfondito la mia pratica buddista, e poi c’è stata una vera svolta, vale a dire il sentire profondamente, anche con molta commozione, il legame col maestro, con Sensei Ikeda. Per anni ho praticato cercando di sentire cosa significa quello che il Buddismo ci dice, che il rapporto maestro-discepolo significa “due ma non due”, che il nostro cuore e il cuore del maestro sono “due ma non due”. A un certo punto ho sentito che se continuavo a cacciarmi in situazioni brutte, in storie dove non mi stavo volendo bene, potevo anche smettere di praticare il Buddismo. È stato un lungo percorso, credo durato sedici anni. Quasi impossibile da sintetizzare in poche righe. Però posso dire che tutto quello che ho attraversato, pensato, patito, studiato, sentito, tutte le lotte per riuscire a trasformare le mie parti più scurette e sofferenti, a metabolizzare paure e chiusure varie, tutto questo mi ha portato a onorare la mia vita, ad abbracciarla, a prendermi cura di me, di tutto quello che sono, e il cammino è avvenuto insieme alle persone del mio gruppo di praticanti, quasi tutte donne. E tutta questa bella e tosta avventura, il tipo di energia, di sapore, di tutti questi anni è confluito in questo piccolo libro di nemmeno cento pagine.
Con la pratica buddista la tua letteratura è migliorata?
A questa domanda non so bene rispondere, forse dovrebbero dirlo i miei lettori. Diciamo che praticando inevitabilmente si dovrebbe migliorare come esseri umani, si dovrebbe accrescere la compassione e la comprensione del cuore umano, dunque di certo male a uno scrittore questo non fa.
Cosa volevi fare da grande?
Esattamente quello cha faccio, la scrittora. Il fatto è che i problemi restano intatti anche facendo il mestiere che ami, se non c’è un percorso di consapevolezza.
Come è nata l’dea di Felice per quello che sei?
Ti ho detto che il momento importante è stato l’approfondire il legame col maestro. Una volta vedendo un video di Ikeda al nostro centro culturale ho deciso di offrirgli il mio lavoro di scrittrice. Visto che è la cosa più importante della mia vita, visto che tutte le mie migliori energie sono lì, ho pensato che era l’offerta più grande che potessi fare al mio maestro. Sono cominciati due anni burrascosi, burrascosissimi, e io ho continuato a rinnovare l’offerta, ogni giorno, praticando, sostenendo le persone del mio gruppo, sapendo che quando arrivano i casini significa che sei sulla strada buona. Anche cercando di capire in che modo io potevo fare questo. Cosa potevo fare come buddista e scrittora? Come potevo trasmettere il cuore del maestro, gli insegnamenti di Nichiren Daishonin? Non ne avevo idea. Ma avevo la fiducia che la vita mi avrebbe mostrato come fare. Un giorno mi chiama Cristiano Armati, l’editor di Giulio Perrone. Aveva lasciato l’editore precedente e aveva l’idea di aprire una nuova “collana delle passioni”, dove gli scrittori avrebbero raccontato di una loro passione che non fosse in forma di fiction romanzesca. Sapeva che praticavo il buddismo perché col precedente editore, Newton Compton, mi aveva chiesto una prefazione a un libro di poesie Zen. E così quel giorno mi ha chiesto: Che ne dici, ti piacerebbe fare un libro sul Buddismo? Il resto è storia, come si dice.
L’ultimo film che hai visto?
Te ne dico due, uno splendido ma veramente tosto, Pietà di Kim Ki Duk, poi On the road, anche perché Kerouac è uno dei miei miti letterari.
L’ultimo libro che hai letto?
I meravigliosi racconti di Mary Gaitskill, Oggi sono tua.
Ah bene! Ti prendo alla lettera, scherzo. Hai un metodo di lavoro, insomma, scrivi tutti i giorni?
Sì scrivo sempre, ma non solo romanzi e racconti, scrivo cose che mi passano per la testa, ricordi, sogni, appunti, intuizioni.
L’ultima. Claro, se puoi dirlo. Qualche anticipazione sul tuo prossimo libro. Cosa bolle nella tua pentola?
Sono a buon punto con un nuovo romanzo, è quasi finito e dovrebbe uscire verso aprile e sto lavorando anche a un’altra cosa, forse prenderà la forma di romanzo o forse saranno dei racconti, non lo so ancora, seguo una corrente interna e da qualche parte mi porterà.
Intervista realizzata da Ruben Toms
(scrittore e autore di Tutto fumo niente Ariosto e Sonno’s song pubblicati da Fermento)